
Nel gruppo di lettura può spuntare una specie di populismo del lettore? I lettori dei gruppi di lettura – e in generale tutti i lettori – rivendicano giustamente il diritto di giudicare i libri che leggono, di scegliere i criteri con cui li giudicano, di non dichiarare quali siano i criteri applicati per stabilire quando apprezzano un libro o quando invece non piace.
Nessuno si sognerebbe mai di negare questi diritti del lettore, per fortuna.
D’altra parte, però, dietro questi diritti si annida il seme spiacevole del «vale tutto», che implica il «tutto è opinione». È una pianta sgradevole, che ha qualche somiglianza con il rifiuto degli esperti, il fastidio verso i punti di vista autorevoli, la pretesa dell’«uno vale uno» nelle conoscenze e nella competenza, che si sono radicati nel dibattito pubblico.
Così crea disagio ascoltare in incontri dei gruppi di lettura, giudizi grossolani e non argomentati, se non con l’espressione convenzionale: «Avrò diritto di esprimere la mia opinione?».
I lettori che si emancipano dalla critica ufficiale, dalle recensioni sui giornali possono essere un grande patrimonio culturale, una forma di capitale sociale prezioso. Il caso, che abbiamo ricordato alcuni giorni fa, dell’accoglienza dei lettori a La Storia di Elsa Morante, in palese contrasto con quasi tutta la critica e i recensori della metà degli anni ’70, fu un esempio molto bello di questa autonomia dei lettori.
D’altra parte però, questa forza autonoma nel giudicare il lavoro degli scrittori e nel decidere cosa ha valore e cosa no, può fondarsi solo sul gusto? Non sarebbe meglio usare criteri di giudizio che aiutino a dare coerenza argomentativa?
Entrambe le scelte evidentemente sono rischiose. Quest’ultima, da una parte, può condizionare molto, se non affrontata con senso critico, l’autonomia e la libertà del lettore.
L’altra però può costruire opinioni fondate sul nulla, sul sentito dire, che finiscono con lo svilire la discussione sulle letture portando a tanti rivoli autoreferenziali, soliloqui più che condivisione, in una versione pseudo colta delle discussioni superficiali delle bolle social.
Che cosa facciamo dunque? La via migliore è mantenere la propria assoluta autonomia di lettore, sforzandosi però di argomentare, di fornire esempi concreti, sulla pagina, di usare il senso critico nei confronti dei propri giudizi e commenti – meglio se si sono formati leggendo critici raffinati –, di non essere assiomatici. Lo spazio sociale autoregolato del gruppo di lettura funziona se ciascun partecipante apporta contributi originali, che possano però essere rilevanti per gli altri partecipanti.
Non è tanto fra l’espressione di pareri soggettivi e oggettivi che vanno fatte le scelte. Anzi in questi contesti le letture soggettive sono sicuramente più interessanti e originali. Ma devono prestarsi al ragionare, devono essere articolate, devono intrecciarsi con il ragionare degli altri, devono essere aperte al dubbio, alla modifica indotta dal pensiero degli altri.
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