È inevitabile che ogni tanto ci si chieda con quali strumenti e criteri giudichiamo i libri che leggiamo.
Che ci si chieda se sia vero che l’abitudine a giudicare i libri e a esprimersi – in termini di “mi piace/non mi piace” sia una scorciatoia che mantiene superficiali, che rende le parole dedicate ai libri che leggiamo un semplice “chiacchiericcio”.
(L’occasione per parlarne è, insieme, il successo di partecipazione di lettori ai nostri post sui libri più belli e alcune osservazioni che qualche lettore ha fatto relativamente all’eccesso di semplificazione che comporta un giudizio così secco bastato su “mi piace/non mi piace”).
Vale a dire: il lettore comune – noi insomma – ha una sorta di “dovere” intellettuale di imparare a usare qualche strumento critico?
Esiste uno spazio ricco di senso fra il chiacchiericcio e la critica professionale?
E’ una domanda alla quale, per fortuna, molta critica, anglosassone soprattutto, da anni si sforza di rispondere “divulgando” gli strumenti della propria “scienza”.
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Qualche mese fa, in proposito, avevo accennato a James Wood che ha pubblicato un libro proprio dedicato a questo tipo di divulgazione: Come funzionano i romanzi (Mondadori). Un libro che da un po’ tengo a portata di mano, soprattutto perché mi diverte ogni tanto metterlo alla prova sui romanzi o racconti che leggo.
Recentemente poi (ne cito un altro come esempio, credo ce ne siano centinaia che possono svolgere questa funzione) il critico inglese John Sutherland ha scritto un libro simile, almeno nel possibile impiego: 50 Literature Ideas you Really Need to Know.
Provo quindi, quasi come un gioco, a elencare le domande che mi dovrei/vorrei fare leggendo un romanzo, se volessi essere un lettore comune ma “come si deve” (uso un po’ Wood, ma potremmo elencarne altre decine di domande, basta provare):
1) Che tipo di narratore è quello al quale lo scrittore ha affidato il compito di raccontare la storia? A parte le questioni tecniche (onniscente, narratore/personaggio, uso dello stile indiretto libero, prima persona…), è un narratore che sentiamo vicino? quanto e come usa l’ironia drammatica? Quanto è vicino o lontano dai suoi personaggi?
2) Com’è il gioco fra i dettagli narrati, mostrati?
Per esempio fra quelli importanti e quelli (apparentemente) insignificanti: dal loro contrasto dipende molta dell’efficacia delle scene, per esempio nella capacità di rendere la tensione. Nell’uso dei dettagli c’è molto rischio di convenzionale.
3) Cosa cerchiamo nei personaggi? Come devono essere perché si sentano vibrare sulla pagina, perché li possiamo vedere e apprezzare con la sottigliezza necessaria che li fa vivere? Siamo obiettivi con l’estetica del personaggio o lo giudichiamo in base a una presunta qualità morale?
4) E la coscienza dei personaggi? Come entriamo nel loro pensiero? E poi, ci entriamo davvero o l’autore ci inganna, ci mostra una parodia della coscienza?
5) Il romanzo che leggiamo è una macchina di empatia? Riusciamo a vedere, sentire e comprendere la complessità del nostro “tessuto morale” (nostro inteso come: condizione umana).
6) Il linguaggio ha quella molteplicità di registri, di armonie e dissonanze, cambiamenti e salti di stili che restituisce la complessità del mondo ritratto? Le metafore sanno sorprenderci o sono scontate, fruste e prevedibili?
7) La storia e l’intreccio ci sorprendono? O sono scontati, forzati? Oppure le storie sono così elaborate e centrali da schiacciare tutto il resto, facendoci dimenticare che il romanzo è molto più e molto altro rispetto a una storia.
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