Fra gli interpreti più espliciti della volontà e del bisogno dei lettori di esprimersi a proposito delle proprie letture e di ascoltare altri lettori, mi piace citare Peter Bichsel, riferimento importante per chi ha scelto di occuparsi di lettura condivisa.
Lo scrittore svizzero pubblicò nei primi anni ‘80 del XX secolo un libretto con alcune “lezioni” tenute all’Università di Francoforte, in Germania. In Italia il libro venne pubblicato da Aelia Laelia Edizioni con il titolo “Il lettore, il narrare”. Una delle lezioni è “La lettura”, semplicemente. In essa Bichsel parla soprattutto di se stesso in quanto lettore. Ma nelle prime pagine ci racconta uno strano episodio che allarga improvvisamente il campo visivo e mette a fuoco la motivazione dei lettori “a condividere la lettura”, che, aggiungo io, credo sia il motore della partecipazione ai gruppi di lettura.
Bichsel aveva ottenuto un premio che lo rendeva per un anno “scrittore residente” (il writer in residence noto soprattutto nei paesi anglofoni) a Bergen, una cittadina tedesca vicina a Francoforte. Per un anno poteva abitare lì a spese della città, assumendo una funzione quasi pubblica di scrittore. Ne “La lettura” Bichsel disse di aver passato parecchio tempo in un bar di Bergen, dove i cittadini andavano per incontrare lo scrittore. Eppure molti di questi cittadini lo trattavano più che altro da “lettore residente”. Gli portano libri, “che poi si ammucchiano sul mio scrittoio. Io dovrei leggere i loro libri”. Questi signori in fondo cercavano, scrive Bichsel: «un co-lettore».
In particolare, fu Jürgen a colpire di più la fantasia dello scrittore. Perché Jürgen arrivò nel bar e cominciò a parlargli di un certo libro che aveva letto, un libro che narrava i destini di un tedesco emigrato in Brasile, che vive diverse avventure fra selvaggi, cercatori di diamanti e criminali. Un libro molto brutto, però, ci dice Bichsel. Ma non lo disse a Jürgen, né provò a consigliargli un libro migliore. Jürgen era l’unico probabilmente ad aver letto quel libro. Lo scrittore residente, secondo Jürgen, doveva diventare il suo co-lettore, un confidente, un complice. Bichsel ci dice anche che Jürgen non fu l’unico ad andare da lui, lo “scrittore residente”, proponendogli di leggere un libro.
«Forse – scrive – si potrebbe rivalorizzare la conversazione letteraria se si tenesse un “lettore residente”, uno da cui poter andare dopo che si è letto un libro e dire: “leggilo anche tu perché domani vorrei discuterne con te”».
«Si può aggiungere che, se ha qualche senso che esista la figura del critico letterario, la sua funzione potrebbe essere quella di un partner pubblico per lettori solitari, un co-lettore pubblico. Peccato che pochi siano disposti a interpretare in questo modo la loro funzione di critici. I lettori sanno quanto si può essere soli nell’entusiasmo per un libro, quanto si può essere soli, ad esempio, con “Le finalità elettive”, con il “Wilhelm Meister”, con “I dolori del giovane Werther”.
«Ho letto poco tempo fa il “Wilhelm Meister”. In preda a un autentico accesso di entusiasmo mi sono precipitato dai miei amici per parlargliene; non ne ho trovato uno che lo avesse letto».
Poco oltre Bichsel conclude:
«[…] so cosa mi porterei dietro su un’isola completamente deserta, dove si è totalmente soli e senza nessuna possibilità di tornare indietro. Conosco anche le due classiche risposte: “La Bibbia” oppure “un libro da scrivere”. Potrei quasi rispondere la stessa cosa anch’io, ma in realtà non mi porterei dietro nessun libro, perché senza una comunicazione quotidiana cesserebbero sia la lettura che la scrittura. Ho bisogno degli altri almeno per far sapere che ho letto». [Bichsel, 1982, pp 34-37] .
Bichsel insomma ci ha spiegato qui uno dei desideri del lettore alla base della motivazione a partecipare ai gruppi di lettura.
Certo è un desiderio espresso che non è detto comprenda il desiderio di ascoltare il parere e i pensieri altrui sul libro.
Vale a dire: è un bisogno di dialogare o solo di essere ascoltato? Comunque sia, il lettore a caccia del tipo ideale “lettore residente” si preoccupa di avere un interlocutore che ha letto il suo stesso libro, nel suo immaginario deve dunque essere un interlocutore competente a rispondere, a domandare, a obiettare. Solo così un vero dialogo è possibile.
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