Sentirsi offesi (e dirlo) da ciò che scrive un autore fa parte dei diritti dei lettori. Non è un diritto pretendere di “correggerne” l’opera
Mi permetto anche io due parole sulla faccenda di Roald Dahl e la sciagurata decisione di correggerlo, censurarlo, o come vogliamo chiamare quel che ha deciso di fare l’editore britannico Puffin.
Ovviamente siamo tutti qui per disgustarci di questa decisione. E ovviamente non vogliamo che nessuno riscriva i libri degli autori che ci piacciono e di quelli che non ci piacciono – per qualsiasi motivo: sia per censurare, per cancellare il passato, o per fare un qualche tipo di bene o di male, o qualsiasi altra cosa.
Ma non è questo quel che vorrei dire.
Vorrei invece dire che mi ha inquietato il fatto che ci sia questa organizzazione che si chiama “Inclusive minds” alla quale era stato affidato il compito di purgare i libri di Dahl e fare in modo che usassero un linguaggio che “possa essere godibile per tutti”. Insomma Inclusive minds doveva preoccuparsi di lavorare nel nome dell’inclusività e del rispetto della diversità. Così si presentano: “Founded in January 2013, Inclusive Minds is an organisation that works with the children’s book world to support them in authentic representation, primarily by connecting those in the industry with those who have lived experience of any or multiple facets of diversity”.
Mi ha inquietato perché la faccenda dell’inclusività è una cosa seria anche quando si parla di libri: come ho cercato di dire nella Voce dei lettori, libro che porta, appunto, il sottotitolo: Come creare (e condurre) gruppi di lettura inclusivi. Non vorrei insomma vedere l’aggettivo “inclusivo” o il verbo “includere” che si deteriorano e diventano sinonimo di censura o cancel culture, o altre cose simili.
Perché, quel che si dovrebbe fare con i libri è leggerli e usarli così come li ha scritti l’autrice o l’autore. Sì usarli: che poi è sostanzialmente parlarne con altri, discuterne, raccontarli a qualcuno, rifletterci, mostrare le sottolineature, consigliarli; ma anche criticarli, dire che non ci sono piaciuti o che – magari – ci hanno offeso. È in questa azione: nel poterne parlare liberamente, in ogni senso e modo, che passa l’inclusività.
Quindi questo “usare” comprende, se qualcuno lo vuole fare, anche criticare Dahl, Manzoni, Faulkner, Fenoglio, Proust o Mann o Morante, o chiunque altro, perché hanno scritto cose dalle quali qualcuno si senta insultato, discriminato, denigrato.
Si sbeffeggia un uomo grasso, si attribuisce una parlata goffa a un nero, si mostra del maschilismo nello scrivere e descrivere una donna?
Ok, chi può legittimamente impedirmi di sentirmi offeso/offesa? E di dire o urlare che non leggerò più quello scrittore o, meglio, che quando lo leggerò mi arrabbierò di nuovo? E perché non dovrei poter dire che la mia rabbia per le offese che mi ha arrecato la sua scrittura supera il piacere di quella lettura?
È in questa possibilità di leggere l’opera intatta, non purgata, e nella possibilità di dire che quell’opera è offensiva che sta uno dei passaggi fondamentali dell’inclusività delle discussioni, non nell’impedire a tutti di leggere il vero Roald Dahl. Che quando è offensivo è nel suo terreno migliore.
Rispondi