Ovvero, su come le reti di condivisione della cultura possano generare attività pubblica, contro la privatizzazione degli spazi e la colonizzazione del mercato
Spazio pubblico e azione pubblica con la/della lettura sono concetti che nella pratica si intrecciano da anni (con i gruppi di lettura, con alcune forme di performance artistiche, con le narrazioni nelle piazze) e che diventano ogni giorno più importanti.
Soprattutto se confrontati con la scarsità di Vita activa (Hannah Arendt) e la colonizzazione dello spazio pubblico da parte delle aziende, e di ogni genere di interessi privati.
L’uso pubblico della cultura negli spazi urbani è ovviamente una risposta diversa rispetto alla vita sociale intesa come vita privata che si svolge in luoghi pubblici o quasi pubblici (un bar, il teatro, una piazza). Una differenza importante è che l’uso pubblico della cultura si fonda su relazioni aperte e legami inizialmente deboli – con individui che non si conoscono o si conoscono poco – ma che attraverso lo scambio linguistico pubblico, a partire dal confronto fra persone e un’opera d’arte, un romanzo, un racconto, della musica, diventano via via legami più complessi, più ricchi e aperti a prospettive inedite, inattese. E poi generano nuovi legami, a volte più forti, che si prolungano e si estendono e via via creano nuove reti di relazioni civili, non private.
Inoltre, spesso rivendicano spazi pubblici il più possibile liberati dalle ragioni del mercato, dagli interessi privati, formulano proposte di nuovi diritti, si aprono all’inclusione di soggetti esclusi dalle relazioni, soli, umiliati.
Per tutto ciò è importante che queste reti di legami inizialmente deboli, create attorno all’autogestione di produzione e elaborazione culturale, possano crescere e sviluppare presenza pubblica anche quando sono chiuse nelle biblioteche, o intrecciate a distanza, attraverso le piattaforme di videoconferenza.
Quali passi devono fare per mostrarsi e darsi forme davvero pubbliche e di Vita activa o addirittura politica? E, ancora prima, quali pratiche devono attuare e proporre queste reti per diventare davvero aperte e inclusive?
(Su alcuni di questi temi, ma anche su altri, ho cercato di ragionare in un libro che dovrebbe uscire nelle prossime settimane e che, spero, sarà un’occasione per elaborare anche proposte concrete).
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