
Fra le persone povere che vivono per strada si vedono anche lettori e lettrici. Alcuni, magari sollecitati, parlano delle loro letture, a volte con distacco, altre con entusiasmo.
La signora che coordina i volontari di un’associazione che conosco bene mi ha suggerito l’idea di provare a usare il dialogo sulla lettura per dedicare ad alcune di queste persone più attenzione, per coinvolgerle in una relazione più ricca di quella fuggevole e breve possibile con le “unità mobili” che ogni sera percorrono la città per offrire ai “senza fissa dimora” un piccolo aiuto.
È un’idea che indica una via di riconoscimento reciproco anche in quanto lettori. Un dialogo fondato sulla scelta – che conosciamo bene – di condividere con un altro lettore (senza aggettivi) per qualche minuto, ciò che entrambi abbiamo letto o anche fondata sull’ascolto del racconto, da parte di uno di noi, di un’esperienza importante come la lettura di un libro.
Esclusione sociale e lettura
La lettura è una forma di trascendenza anche – e forse soprattutto – perché ci proietta sulla condivisione del pensiero che suscita, ci proietta in modo consapevole nella relazione con l’altro. Mentre leggiamo e quando chiudiamo il libro e pensiamo a ciò che abbiamo letto, siamo pronti a un dialogo; il pensiero è pronto per essere comunicato, desidera essere condiviso.
Ciò vale anche per i casi nei quali ciò avviene solo con se stessi, con la specie di altro io che abita in noi e con noi.
Mi azzardo però a dire che l’impossibilità di comunicare questo pensiero, la mancanza di uno o più persone che lo ascoltino e entrino in dialogo con esso, è una forma di esclusione sociale, o forse, meglio, è un indicatore di esclusione sociale.
Certo, si dirà, molte volte è una scelta consapevole del lettore. Ma è una variante del ragionamento che distingue fra solitudine come scelta deliberata “per ritrovare se stessi” o, appunto, per leggere, una scelta dunque, da attivare a intermittenza; e l’esclusione sociale: la condizione sofferta di chi è spinto da varie circostanze, o anche da scelte rivelatesi poi sciagurate, lontano dagli incontri affettivamente e cognitivamente significativi, con altre persone.
L’esclusione sociale è una condanna. Essa ci dice molto anche sulla lettura e reciprocamente la lettura ci dice alcune cose sull’esclusione sociale. Pochi leggono fra le persone che sono escluse da relazioni sociali significative; e coloro che leggono ma sono esclusi da relazioni sociali significative non hanno nessuno con cui parlarne, e probabilmente ne soffrono, tanto è vero che spesso cercano un interlocutore, addirittura un co-lettore. (Ciò è ovviamente un’affermazione diversa dal dire che chi non legge non ha relazione sociali significative, affermazione completamente fuori luogo, credo).
Mi piace pensare che riconoscere un lettore fra chi è ai margini delle relazioni fra le persone, sia un primo passo per stabilire con questa persona un dialogo, a partire dal suo riconoscimento come possibile interlocutore attorno a una passione comune, una passione di cittadinanza.
Il coronavirus e la lettura
E il coronavirus che cosa c’entra? C’entra perché contribuisce a isolare, a ridurre le relazioni faccia-a-faccia che sono parte molto importante del riconoscimento del quale parlavamo prima; perché contribuisce a renderci tutti un po’ più isolati. Le attività di volontariato sono sospese, nelle carceri la vita di relazione con l’esterno si è complicata, e anche negli ospedali, nelle case di riposo.
I gruppi di lettura, temo, in queste settimane sono paralizzati, almeno nelle regioni colpite dal contagio. Le biblioteche sono chiuse, come i teatri, i cinema. Eppure potremmo usar la lettura per andare oltre: dovremmo entrare nei bar aperti con un amico e parlare delle letture; mostrare per le strade il libro che abbiamo con noi, cercare uno sguardo interessato, dire a questo sguardo che vorremmo, ci piacerebbe, articolare un ragionare, un dialogo, sul libro o su altro.
•Leggi anche: Il diritto di ascoltare
Rispondi