Un’occasione per non lasciare che Calvino sia reso innocuo per eccesso d’uso
Sono 101 le interviste contenute in questo irrinunciabile libro: Italo Calvino, Sono nato in America. Interviste 1951 – 1985 (Mondadori).
Una vera miniera di idee, sguardi, punti di vista, analisi, rappresentazioni, spiegazioni, ricordi, osservazioni. Dentro c’è Calvino scrittore, ovviamente, che parla del proprio lavoro; ma anche Calvino testimone del tempo che abita, sia sul versante culturale che su quello politico. E poi Calvino sulla scrittura e, soprattutto, la lettura.
Quasi settecento pagine che, già sfogliando e leggendo qua e là a caso, appaiono necessarie. Mario Barenghi nell’introduzione definisce questa raccolta,
Il più imponente corpus disponibile di autocommenti calviniani. L’effetto, inevitabilmente, è quello di un nuovo, grande cantiere autobiografico: un’autobiografia in progress, mobile e sfaccettata, costruita per successive espansioni, tra aggiornamenti e riprese, aggiustamenti e conferme, nel rinnovarsi continuo di tempi, rotte, prospettive: un’autopresentazione simile a un prisma rotante che prende forma davanti ai nostri occhi, senza mai consentire una visione completa e stabilizzata.
Gli interlocutori di questi incontri sono i più vari, anche con nomi assai noti, come Carlo Bo, Ferdinando Camon, Daniele Del Giudice, Maria Corti. Quella con quest’ultima, per Autografo uscì in ottobre del 1985, e venne redatta da Calvino rispondendo per iscritto a Maria Corti, a fine luglio del 1985, un mese e mezzo prima di essere colpito dall’ictus che lo avrebbe ucciso, il 19 settembre di quell’anno. (L’intervista a Maria Corti è stata già pubblicata nel volume dei Saggi. 1945 – 1985 – Mondadori, 1995).
E un vero e proprio saggio è questa ultima intervista: sulle letture, lo stile, il metodo di lavoro, la struttura dei testi. Io ho cominciato a leggere questo libro proprio da quest’ultima: in effetti è un libro che può essere letto da più punti di ingresso e di uscita, senza mai sentirsi pronti ad abbandonarlo. Cito un passaggio dal colloquio con Maria Corti:
Ogni testo – dice Calvino – ha una storia a sé, un suo metodo. Ci sono libri che nascono per via d’esclusione: prima si accumula una massa di materiale, dico pagine scritte; poi si fa una cernita, rendendosi conto a poco a poco di cos’è che può entrare in quel disegno, in quel programma, e cosa invece resta estraneo. Il libro Palomar è il risultato di molte fasi di un lavoro di questo tipo, in cui il “levare” ha avuto molta più importanza del “mettere”. (pag. 654)
Calvino parla spesso di come si svolge il suo processo creativo, di come sia faticoso.
Per esempio nell’intervista a Marco d’Eramo per Mondoperaio nel 1979, dice:
Ho molta difficoltà di parola, ma ho altrettanta difficoltà di scrittura. Non scrivo mai di getto. I miei manoscritti sono pieni di cancellature, di rimandi, di inserimenti. Invidio molto chi sa parlare e sa scrivere direttamente. A me il pensiero si presenta sempre molto ingarbugliato, lo devo mettere in ordine, fissando alcuni nuclei. La forma ha le sue imposizioni. (pag. 287)
Come scrive Pietro Citati sul Corriere della Sera del 24 settembre 2012,
la parola che ritorna più spesso in queste interviste è l’amatissimo dubbio: non sa quello che fa, è incerto, cambia, muta, si contraddice, va indietro, avanti, guarda dall’altra parte. Abita sempre nel non so dove; e la pedagogia del dubbio e del non so dove è l’unica che possa insegnare agli uomini del suo tempo.
Nelle interviste, Calvino, si mostra come “un prisma rotante” come, abbiamo visto prima, lo definisce Mario Barenghi.
Lo ricorda anche Citati:
Quando finisce di scrivere un testo, Calvino (e i suoi lettori) non vedono mai un programma ideologico realizzato, ma dei testi mobilissimi, dove si agita la più libera immaginazione intellettuale: una geometria mentale, che si abbandona alla forza del vagabondaggio e del ricamo. Tutto è contraddizione: quella geniale contraddizione che ispira sia le grandi religioni sia la grande letteratura.
Un grande omaggio dunque ai lettori di Calvino, queste Interviste.
Eppure, sarebbe ovviamente un errore pensare che Calvino possa entrare ancora nella nostra libreria e lì restarci a far mostra di sé come se avessimo già fatti tutti i conti con lo scrittore.
E questo non solo perché ovviamente la sua opera è così ricca e così complessa e molteplice che non può essere ridotta, arginata, chiusa in uno scaffale.
Per questo certo, ma anche per una sorta di resistenza che i lettori devono esercitare affinché non si verifichi davvero la “liquidazione” di questo scrittore evocata – e data ormai per certa – da Massimo Bucciantini nel suo articolo sul domenicale del Sole 24 Ore del 23 settembre 2012.
Bucciantini sostiene che Calvino è stato cancellato in modo sottile,
“consumandolo velocemente e distrattamente, citandolo nelle occasioni più disparate, facendolo diventare uno scrittore per ogni stagione”.
[…]
“Attraverso un’operazione di sminuzzamento dei suoi progetti scrittura e di lettura del mondo, è stato depotenziato, fino al punto che la sua onnipresenza lo ha reso superfluo, e quindi innocuo, senza vita”.
[…]
“Ecco quindi il Calvino ‘leggero’ anticipatore della postmodernità e della virtualità di oggi, Calvino padre dell’immaterialità, anticipatore della rete. Oppure ecco il Calvino che torna d’attualità per le sue immagini, che torna agli onori delle recenti cronache napoletane con la città di Leonia, la città opulenta delle Città invisibili_”
[…]
“Ma facendo così si è perso molto. A cominciare da uno degli elementi che più caratterizza la sua idea di *letteratura come forma di conoscenza*: e cioè che Calvino è stato uno dei pochi scrittori laici, totalmente laici, che la nostra letteratura abbia mai avuto.”
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