Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato.
Quando parecchi anni fa ho terminato Il Grande Gatsby piangevo a calde lacrime. Di fatto, finire un libro è un lutto che si ripete ogni volta che chiudiamo l’ultima pagina. Di colpo, quel mondo complesso di personaggi e storie torna sorprendentemente a essere un oggetto inanimato sul comodino. Impossibile riporlo immediatamente sullo scaffale: la sua posizione privilegiata fino a quel momento rende il distacco insopportabile.
Non è forse l’ultima cosa che tocchiamo prima di cedere al sonno, l’ultimo incontro della giornata a cui si presta attenzione fiduciosi nella promessa riposta nelle pagine da sfogliare? Come in tutti i cambiamenti, ci vuole tempo. Far tornare bidimensionale chi abbiamo amato, odiato o, nella peggiore delle ipotesi, subito, è sempre una gran fatica.
In una terra di nessuno, ormai esuli dal romanzo terminato, ma non ancora pronti per altre conquiste narrative, ruminiamo inconcludenti sulla precedente lettura. Aspettando, insomma, una nuova scintilla che ci faccia venir voglia di girare le pagine.
Perché un libro (come Calvino dice per i classici) si può leggere solo per amore.
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