
Mi interessano i romanzi ambientati a Milano, città dove lavoro da quasi quaranta anni. Ho cambiato vari uffici, situati in zone diverse, ed ho avuto così modo di conoscere bene e di apprezzare i vari quartieri della città. Seguo perciò la vicenda narrata con una particolare attenzione ai luoghi in cui le storie si svolgono.
Ho già parlato di Hans Tuzzi, maestro a mio parere nel rendere le atmosfere di Milano, e voglio ora parlare di Renato Olivieri, uno scrittore nato nel 1925 in provincia di Verona, vissuto a Torino sino ai 14 anni e trasferitosi a Milano dove tutt’ora vive. Ha scritto diversi romanzi gialli, circa 15, con protagonista il commissario Ambrosio.
E’ uno scrittore che conoscevo già, avevo letto un paio di suoi romanzi molti anni fa; mi è ritornato ora fra le mani il suo primo romanzo, Il caso Kodra, e confesso che mi ha così preso da farmi pensare di leggere tutta la serie.
Una donna, Anna Kodra, viene investita da un’auto in circostanze che destano sospetti nel commissario Ambrosio, recatosi sul posto, in via Catalani, luogo della sua giovinezza, in cui vivono ricordi e nostalgie,
a farmi muovere è stato il nome della via, una voglia improvvisa di tornare indietro nel tempo. Il commissario Ambrosio pensò a via Porpora, anzi al vecchio cinema Porpora, dove andava da ragazzo. Ricordava quella zona di case basse con giardini interni e orti, pensioni, piccolo alberghi, portoncini di gusto liberty, botteghe.
Già si delinea il carattere di Ambrosio, melanconico, portato ai ricordi, e si presenta Milano, una Milano della sua giovinezza, una Milano che purtroppo si perde. Ancora:
C’era un locale, mezzo caffè mezzo osteria, in via Ludovico il Moro, lungo il Naviglio Grande, di quelli frequentati da artigiani, bottegai del quartiere e camionisti.
Il sospetto prende corpo e Ambrosio indaga nel passato della vittima, interroga i vicini di casa, il professor Orlandini, i vecchi datori di lavoro ed i colleghi di Anna, porta alla luce il difficile passato di Anna, il rapporto con il marito e con la figlia Giulia, sino alla drammatica vicenda finale che conduce alla scoperta dei colpevoli.
La storia c’è, è ben costruita e avvince; c’è la curiosità, come in tutti i gialli, su chi sia il colpevole e sul perché.
Mi interessano però maggiormente i dettagli, le notazioni con cui sono caratterizzati Ambrosio e gli altri personaggi, l’attenzione e la precisione con cui sono descritti ambienti e luoghi di Milano.
Mi interessa poi la storia umana di Ambrosio. Nei gialli “seriali” mi piace seguire la storia privata del protagonista che si evolve di romanzo in romanzo e si arricchisce di piccoli spunti, di notazioni sul suo carattere, di episodi del passato che tornano e contribuiscono ad arricchirne la personalità.
Ambrosio, colto, raffinato, amante della buona cucina: “A Bagutta i camerieri lo conoscevano”, intenditore di libri e di quadri: “trovarono posto in un angolo vicino alla vetrata che dava sul pergolato, alle spalle di una parete dipinta da Achille Funi.”
Il matrimonio con Francesca, “tra malumori e ripicche, tra recriminazioni e accuse trasformatesi negli ultimi anni in una routine amara finchè lei non lo aveva lasciato”.
La conoscenza di Emanuela, infermiera al Policlinico di Via Francesca Sforza. “Aveva gli occhi chiari, forse verdi, statura media, bionda con le mechès, qualche efelide sul naso e uno sguardo un po’ trasognato, da miope”. Il lento e discreto innamoramento:
La nebbia intanto era calata dopo la pioggia della sera, e quando uscirono dal ristorante ne furono avvolti al punto di non ritrovare subito l’auto posteggiata sull’argine del Naviglio: Emanuela lo prese per mano e camminarono vicini, lentamente, per una cinquantina di metri. Quando Ambrosio non vide la Golf quasi sperò che gliela avessero rubata, così avrebbe potuto camminare con lei fino a casa.
Un romanzo da leggere lentamente, con calma, soffermandosi sui luoghi e sui personaggi, anche quelli minori, resi vivi con pochi tratti.
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