The Reader – A voce alta è in questi giorni sugli schermi, accompagnato dal successo dell’ Oscar attribuito a Kate Winslet e dai giudizi, complessivamente positivi, della critica nostrana. Il film è tratto dal romanzo di Bernard Schlink, Der Vorleser, tradotto in italiano come A voce alta, Garzanti.
A fronte di un diffuso entusiasmo, confesso il mio giudizio molto perplesso su questa traduzione filmica.
Il romanzo fu oggetto di una lettura collettiva nel nostro gruppo “Librando” alcuni anni fa.
Suscitò reazioni diverse: qualcuna lo respinse, altre lo apprezzarono con riserva, diverse lo accolsero completamente.
Che cosa resta di quel romanzo che racconta una storia audace, condotta sul filo del rasoio?
A mio parere, non molto.
Il romanzo è diviso in tre blocchi, ognuno dei quali trova nella distensione della scrittura il respiro necessario per non accelerare tempi e riflessioni.
La materia trattata è delicata e incandescente, un amore sensuale tra un quindicenne e una donna matura che poi si rivelerà essere stata una guardiana in un campo di concentramento.
Un amore morboso che la donna sa alimentare, infatti “Hanna rappresenta la seduzione e l’isolamento, e, come un buco nero, cattura il giovane e trae da lui tutto ciò che può: dedizione, rispetto, lettura ad alta voce….”.
(Le citazioni riportano i giudizi della nostra lettura collettiva).
Ma “Hanna rappresenta anche quell’umanità opaca che, per qualsiasi ragione, può accettare di far parte di qualsiasi disumanità, pur di non uscire dai propri limiti.” E “questo rapporto che legherà per sempre il protagonista alla donna più matura che l’ ha iniziato all’ amore e al sesso è distruttivo. La sua vita sarò per sempre segnata da quell’ incontro.” In mezzo, un processo, le riflessioni sul passato di una generazione che si interroga sulle colpe dei padri, la zona grigia, il tema del “ perdono”.
Insomma, roba che scotta. Poteva un intreccio così complesso tradursi felicemente in un film?
Forse no, perché un film deve necessariamente concentrare tempi e sintassi della narrazione, e qui accade che la prima parte esclusivamente narrativa trovi una traduzione convincente, mentre la seconda, dominata dal taglio filosofico-giuridico ( è più importante rispettare la volontà di una persona o cercare di salvarla, rivelando un segreto che lei vuole celare? ), venga compressa e semplificata, tanto da risultare sommaria e, a tratti, ambigua.
Il risultato è che predomina il legame ossessivo tra il protagonista ed Hanna e ci si trova davanti ad una storia che enfatizza l’ aspetto dell’ amore mentre il resto non trova forma né consistenza del tutto convincenti. Allora, se la vicenda assolutizza l’ aspetto dell’ amour fou, ci si interroga sul senso di una storia così “ singolare”.
Perché è indubbio che si sia sfiorati dall’impressione di una vicenda un po’ forzata ( pensare che negli anni ’30 del Novecento in Germania ci fossero fenomeni di analfabetismo totale è abbastanza strano) che sembra alludere ad un tentativo di giustificazionismo. Forse in Schlink così non è, anche se tutta la sua narrazione si svolge sul filo del rasoio, con un taglio, per così dire, “anticonformista”, ma chi veda solo il film è autorizzato a chiedersi che bisogno c’ era di articolare una costruzione così complessa, dove la protagonista è ex guardiana di lager, per raccontare una storia tutto sommato già vista.
Senza contare l’elemento, notato solo dal critico di Repubblica, Roberto Nepoti, e trascurato dagli altri. Poiché non è un cosa da poco, in una vicenda basata sulla lettura, è bene sottolinearla. Hanna imparerà a leggere in carcere e ciò avverrà grazie ad un libro scritto in inglese! In sostanza, la protagonista, ascoltando la lettura de La donna con il cagnolino nella sua lingua e cioè il tedesco, identificherà gli articoli determinativi corrispondenti in un testo inglese. La macchina da presa si sofferma più volte sul the cerchiato da Hanna che dovrebbe corrispondere al die ascoltato.
Trascuratezze derivanti dalla coproduzione?
Può essere, ma la noncuranza di un elemento fondamentale in una storia in cui il leggere è il perno di tutto non depone bene, e alla fine, tutto sommato si perde il senso di una vicenda che potrebbe anche essere letta come “una metafora piuttosto tragica: l’ impossibilità di fare passare un passato di orrore. Non ci sarà salvezza per Hanna così come non c’ è salvezza per nessuno, singolo o popolo, che abbia oltrepassato i limiti dell’ umanità”.
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