Aggiungo anche questo ’14 (Adelphi), dello scrittore francese Jean Echenoz, alla lista dei libri sulla prima guerra mondiale.

È un romanzo di poco meno di 100 pagine nel quale l’autore impiega il suo stile – conosciuto nei lavori precedenti sulle vite di Maurice Ravel (Ravel 2007), Emil Zátopek (Correre, 2009), Nikola Tesla (Lampi, 2012) -per guidarci nel gorgo della guerra osservando i destini di alcuni giovani uomini di una cittadina della Vandea.
Uno stile caratterizzato soprattutto da un discorso indiretto libero leggero e denso di ironia d’autore, che contrasta, rendendola più forte e mettendola nella giusta distanza e prospettiva, con la tragicità della condizione umana nel conflitto.
È un destino segnato quello dei giovani uomini del romanzo che partono, in quei primi giorni di agosto del 1914, per il fronte.
Sono ancora i mesi dei calzoni rossi nell’esercito francese, i giorni dell’illusione di una guerra breve e trionfale, con i ragazzini che scrivevano “A Berlino” sui vagoni in viaggio verso est.
Che sia un destino segnato lo si capisce dalla lieve malinconia che ti prende mentre si legge.
Perché la scrittura di Echenoz scivola sulle cose e gli accadimenti, visti da una certa distanza, anche emotiva, e allude, implica, suggerisce. Suggerisce la catastrofe di quella guerra attraverso le vite perdute di cinque ragazzi – un’intera generazione.
Salvo poi, in alcuni momenti, affilarsi e farsi vicina vicina al suo oggetto: memorabile per esempio la breve ma intensa scena del bombardamento della trincea durante il quale, Anthime – il personaggio che più si avvicina a un protagonista – viene colpito da una scheggia e ferito gravemente.
In queste poche righe c’è molto di questo romanzo.
Siamo in trincea, una mattina:
Ho fame, piagnucolava dunque Padioleau, ho freddo, ho sete e poi sono stanco. Eh sì, ha detto Arcenel, come tutti noi. E poi mi sento soffocare, ha proseguito Padioleau, senza contare che ho mal di pancia. Vedrai che il mal di pancia ti passa, ha pronosticato Anthime, più o meno ce l’abbiamo tutti.
[…]
Proprio in quel momento, dopo le prime tre granate cadute troppo lontano e poi esplose invano al di là delle linee, una quarta a percussione da 105 e calibrata meglio ha prodotto nella trincea risultati migliori: ha smembrato in sei pezzi l’attendente del capitano, dopodiché alcune delle sue schegge hanno decapitato un ufficiale di collegamento, inchiodato Bossis con lo sterno a un puntello di galleria, tagliuzzato vari soldati con diverse angolazioni e sezionato longitudinalmente il corpo di un cacciatore-esploratore.
Prima c’erano state le partenze fra le trionfali acclamazioni e gli sguardi delle donne. I borghesi anziani che restando al fresco delle loro case d’agosto ripetono il ritornello che “fra tre settimane sarà tutto finito”. E alla fine la bella Blanche che aspetta un aviatore che non torna e che sembra averle dato un figlio e che accoglie invece il fratello dell’aviatore. Anthime appunto, tornato senza un braccio.
Jean Echenoz, ’14, Adelphi
(Questo post è stato pubblicato in forma leggermente diversa su un altro sito web)
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