Mi hanno raccontato di un uomo che ha iniziato a scrivere un libro sulla storia della sua stirpe, preso atto che ancora pochi ne sono i viventi. Dalla fine dell’800 ai giorni nostri. Lo sta facendo arricchendo le singole vicende con riferimenti storici ai fatti che colpivano il mondo mentre i vari protagonisti trascorrevano la loro vita. Trisavoli, tris-zii, bisnonni, fratelli di fratelli e nipoti di nipoti. Di cui nessuno si ricorda più. E che tra qualche mese, invece, torneranno a vivere nelle pagine di un libro. E lì resteranno per sempre. Bello.
Tanto più che questa notizia mi arriva il giorno dopo che ho terminato la lettura di un romanzo di Paul Auster, Follie di Brooklyn. Il libro in sé non mi ha poi troppo coinvolto ma mi ha lasciato uno spunto che mi ronza in testa da quando ho chiuso la quarta di copertina: “Mai sottovalutare il potere dei libri” dice il narratore riferendosi proprio al compito che può avere un testo che racconta storie di uomini realmente vissuti, di far vivere quelle persone comuni oltre la morte, senza lasciarle cadere nell’oblio eterno.
Ho pensato così al grande potere dei libri di dare vita oltre la morte. Di salvare la memoria. Di regalare l’eternità.
E lo so, sembrerà forse ovvio, ma in pochi minuti mi sono passate davanti agli occhi decine di persone che non hanno avuto la fortuna (è poi una fortuna?) di avere qualcuno che abbia preso a cuore la loro vita al punto di raccontarla nelle pagine di un libro. E la cui esistenza, ahimé, prima o poi, sarà dimenticata.
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