
Sono venuto a conoscenza di questo romanzo da una buona recensione di Goffredo Fofi su Internazionale della prima settimana di novembre, “il personaggio di Doni è uno dei più belli della nostra letteratura recente”, rivista da cui traggo spesso consigli di lettura (attenzione invece al D’Orrico, a volte estroso e stravagante recensore del Sette, inserto settimanale del Corriere della Sera).
La vicenda: Roberto Doni, sostituto procuratore, sessantacinquenne, in attesa dell’ultimo scatto di carriera, sposato con Claudia, solida donna borghese, riceve una mail da Elena Vincenzi, giovane giornalista free lance, che sostiene di avere ottimi motivi per ritenere non colpevole Khaled Ghezal, muratore tunisino, già condannato in primo grado a 6 anni di reclusione per una aggressione a mano armata in Via Padova in cui è stata gravemente ferita una ragazza di buona famiglia. La parte civile e la Procura della Repubblica hanno fatto appello contro la sentenza che ritengono troppo benevola; Doni sostiene la pubblica accusa.
Doni non dà seguito alla mail, ma Elena insiste, vuole che Doni senta le persone vicine a Khaled, lo cerca in tribunale, si incontrano e si parlano. Si contrappongono due visioni diverse: Elena che crede ad una giustizia che tenga conto della vita delle persone, del contesto in cui sono nate e vivono, in una giustizia che non si appiattisca sulle regole formali ma cerchi con tutti i mezzi di giungere alla verità; Doni che parla della giustizia come di una macchina complessa, in cui si giudicano i fatti e non le persone e la ricerca della verità passa solo attraverso le regole ed i formalismi previsti dalla legge.
Le parole di Elena, il suo entusiasmo, la sua tenacia, iniziano a porre tuttavia qualche dubbio nella coscienza di Doni, che accetta di incontrarla in Via Padova, luogo in cui non era mai stato, luogo fuori dal centro e perciò per lui privo di qualsiasi interesse.
Un kebab: due tavolini rossi all’aperto, un signore fumava il narghilè sotto il tendone di plastica: piatti colmi di carne e spezie, tè in bicchieri di vetro. Il macellaio accanto gridò qualcosa in arabo al padrone del locale. Un ristorante sudamericano gestito da cinesi. Un alimentari bangladese.
Una Milano diversa dalla Milano da lui frequentata, una Milano più viva, piena di odori e di colori, una Milano carica di impulsi vitali e di desiderio di esistere sconosciuto.
La crisi di coscienza di Doni cresce ancora dopo gli incontri con la sorella di Khaled e dopo l’uccisione di Mohamed, l’amico egiziano che aveva confidato a Doni di essere con lui la sera dell’aggressione. Crisi che mette a dura prova i convincimenti di Doni, che cerca consiglio nella moglie “Penso che dovresti lasciare perdere tutto, il tuo dovere è solo fare bene il tuo lavoro, pensa alla tua famiglia” e in Cattaneo, il suo vecchio professore, che non lo sa consigliare. Crisi che porta alla soluzione finale, che lascio a voi scoprire.
Consiglio vivamente il romanzo di Giorgio Fontana per i seguenti motivi:
L’impegno civile e morale che la vicenda racchiude, la storia di una crisi rispetto ai temi legge e giustizia e condizione degli immigrati.
La definizione e trattazione profonda dei personaggi, non solo Doni, ma anche Elena, con i suoi ideali e la sua determinazione a combattere per vederli raggiunti, la moglie Claudia e gli amici, buona borghesia milanese ancorata ai propri riti ed abitudini.
Milano, descritta in maniera quasi topografica, con i nomi di strade e piazze, l’atmosfera dei locali , le notazioni climatiche.
Un romanzo da leggere, assolutamente.
Per legge superiore, Giorgio Fontana, ed. Sellerio.
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