Un libricino magico, pubblicato nel 1999, ma scoperto oggi da me per caso: regalato ieri a mia figlia e letto per prima da me: Neve di Maxence Fermine, uno scrittore francese, che, poco più che trentenne, scrisse questo breve romanzo, primo di una trilogia. La trilogia dei colori comprende: Neve, Il violino, L’apicultore ed è pubblicata in Italia da Bompiani.
Il breve romanzo di sole 107 pagine sulla copertina bianca riporta un ideogramma giapponese ed è il primo segnale che ti trasporta in un Giappone un po’ fiabesco. E l’atmosfera del libro è proprio quella della fiaba: una fiaba di amore e morte, di vita e poesia.
Proprio ora, in cui il Giappone sta vivendo il dramma del terremoto, del maremoto e soprattutto il dramma nucleare, è bello dimenticare per un attimo questi eventi così drammatici ed anche l’ultima consueta immagine di un Giappone altamente tecnologizzato, quello della modernità, dell’iperattività, dell’euforia consumistica, quello di un popolo che, tendenzialmente tradizionalista, ha via via perso la sua identità.
Questo romanzo-fiaba, invece, ci porta indietro alle atmosfere dell’’impero del Sol Levante, al Giappone dei ciliegi in fiore: 54 capitoletti introdotti da un haiku o costituiti da un haiku.
Freschezza, dolcezza, tenerezza, armonia, magia, sogno mi sembrano le parole giuste per dire qualcosa di questo libro: è la storia di Yuko Akita, che compie 17 anni nel 1884 e vive nel Giappone del Nord, nell’isola di Hokkaido. Figlio di un monaco scintoista sarebbe dovuto diventare, secondo le tradizioni di famiglia, o monaco o guerriero, ma sceglie di essere poeta, anche se il padre gli ricorda che “la poesia non è un mestiere. E’ un passatempo… acqua che scorre”. “Ma Yuko è esattamente quello che vuole fare. Imparare a guardare il tempo che scorre“.
La poesia “mistero ineffabile“, l’indicibile, traducibile soprattutto in quelle 17 sillabe che costituiscono l’haiku.
Contro il volere del padre, a gennaio 1885, intraprende la carriera di poeta e la neve di quell’inverno diviene la poesia in tutta la sua purezza. Poiché, pur essendo apprezzata la sua poesia, gli viene fatto notare che deve imparare a colorare i suoi versi, per non rimanere invisibile agli occhi del mondo, andrà a scuola nel sud del Giappone da un famoso artista SoseKi, portando con sé come unico bagaglio “l’oro della fede nell’amore e nella poesia”. Mentre attraversa le Alpi nipponiche vede una donna giovane, nuda e bionda, un’europea morta, che riposa sotto un metro di ghiaccio. Fragile e tenera come un sogno. Yuko arriva da Soseki, che ormai è vecchio e cieco. E’ il più grande artista del Giappone. Conosce pittura, musica, poesia, calligrafia, danza, ma la sua arte non avrebbe mai visto una luce se non ci fosse stato l’amore per una donna”. Un tempo samurai dell’imperatore, nei tempi dell’onore, quando bisognava morire o ritornare feriti dalla guerra, mentre ritorna ferito, vede una giovane donna leggera come un uccello, una funambola, che si chiama Neve e viene da Parigi. Salita su una fune non era più scesa sulla terra.
Il suo destino era “avanzare passo dopo passo. Da un capo all’altro della vita.” Di terra in terra era giunta in Giappone. Sorrise a Soseki e “in quel sorriso Soseki perdette la propria anima”sposò Neve, nacque una figlia e la loro vita felice scorreva in pace e silenzio. Poi risalì sul filo, cadde e il suo corpo non fu più ritrovato.
Il samurai disperato si consacra all’educazione della figlia e all’arte assoluta. E così diviene pittore, perché la pittura è il mezzo più sicuro per ritrovare Neve e perfeziona la sua arte, giorno dopo giorno: diventato ormai vecchio per il lavoro incessante diventa cieco. Quel giorno dipinge il più bianco e più bello dei ritratti di Neve. Nel buio più totale si è impadronito della luce e delle sue sfumature.
Soseki dirà a Yuko che sarà completo come poeta solo quando si sarà impadronito dell’arte del funambolo, perché “scrivere è avanzare parola dopo parola su un filo di bellezza”, il filo di una poesia, di un’opera, di una storia adagiata su carta seta… difficile non è elevarsi dal suolo e mantenersi in equilibrio sul filo del linguaggio, aiutato dal bilanciere della penna…; la scrittura è vivere ogni ora della vita all’altezza del proprio sogno, non scendere mai, neppure per qualche istante dalla corda dell’immaginazione… difficile è diventare funambolo della parola.
Yuko e Suseki partiranno poi insieme, per andare a cercare la donna morta vista da Yuko nel ghiaccio e Soseki morirà addormentandosi accanto a lei. Yuko tornerà nel Giappone del nord.
Intanto i suoi haiku non sono più disperatamente bianchi: la scrittura è limpida, preziosa, colorata. ma la distesa del suo cuore resterà intrisa di candore.
Yuko sposerà Fiocco di Neve, figlia di Suseki e di Neve
E si amarono l’un l’altro
Sospesi su un filo
Di neve.
E questo è anche il sottotitolo di Neve il romanzo di Maxence Fermine, questo libro magico che con le sue frasi brevi, essenziali, con la sua semplicità e raffinatezza entra come un’illuminazione nel cuore e nell’anima di ciascuno di noi, che in tempi così rozzi, superficiali, banali abbiamo però tanto bisogno di poesia.
Anche uno scritto come questo può essere un corollario, un’integrazione del discorso di Vargas Llosa su scrittura e lettura.
Esiste anche un’edizione di Neve, illustrata che mi incuriosisce e andrò a cercare.
Maxence Fermine, Neve, Assaggi di narrativa Bompiani, 1999/2010
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