
Venerdì 11 settembre sono stata a Como a Parolario, la manifestazione letteraria di cui avevamo già parlato su questo blog.
19.00 Como, Piazza Cavour
Incontro con l’autore: Petros Markaris “La Balia, il commissario Charistos a Istanbul“.
Dialoga con Severino Colombo. Sarà presente Andrea Di Gregorio, traduttore dei libri di Markaris. Interprete dall’inglese Emanuela Gini
Inutile dire che l’incontro è stato bellissimo, interessantissimo, lui simpaticissimo e spiritosissimo, e complice un temporale furibondo, si è pure protratto per due ore.
Riporto l’intervista di quella serata.
Severino Colombo: Lei è nato a Istanbul ma è greco. Si sente turco o greco?
Petros Markaris: Mio padre era armeno, mia madre greca di Istanbul. Quando parlo di Istanbul, parlo della minoranza greca. Ho frequentato una scuola austriaca per studiare il tedesco, perché mio padre voleva che continuassi la sua attività e pensava che il tedesco sarebbe diventato la lingua commerciale. Mio padre si è sbagliato su entrambi i punti! Grazie a questi studi, però, sono diventato traduttore dal tedesco al greco. Mi sento di appartenere a Istanbul, anche se per me la parola “patria” non significa nulla, ma se ci deve essere un posto che considero la mia patria, questo è Istanbul.
SC: Qual è la lingua di Markaris?
Andrea Di Gregorio: Markaris si propone di descrivere con la forma del giallo uno spaccato della quotidianità: usa quindi la lingua di tutti i giorni, ma con delle sottigliezze, ad esempio usa il greco dei greci e il greco dei romei (greci di Turchia), che sono diversi. Nel libro, Istanbul viene chiamata Costantinopoli o “La Città” dai greci, mentre i turchi la chiamano Istanbul.
SC: Com’è nato il commissario Charitos?
PM: Non l’ho inventato, è stato lui a venire da me. Dal 1991 al 1993 mi sono dedicato alla scrittura della sceneggiatura di una fiction greca che ha avuto molto successo, e alla fine ero davvero esausto, non avevo più idee, così sono andato dal produttore, e gli ho detto che avrei smesso. Mi ha risposto se ero impazzito, stavamo guadagnando un sacco di soldi con quella fiction! Siamo giunti a un compromesso, avrei scritto ancora per qualche mese. Così ero lì, seduto alla mia scrivania, che pensavo a qualcosa da scrivere, quando di fronte a me, all’improvviso, è comparsa questa famiglia, una tipica famiglia della piccola borghesia, padre, madre e figlio. La mia prima reazione è stata di cacciarli: insomma, la tv, i film, la letteratura, sono pieni di tipiche famiglie piccolo-borghesi, non li volevo! Cosa avrei potuto scrivere di nuovo? Ma l’uomo era così testardo che non se ne voleva andare via, e mi deconcentrava, divenne una vera e propria tortura, tanto che pensai: deve essere per forza un dentista o un poliziotto, entrambi sanno torturare così bene! Ma se fosse un dentista, e i dentisti qui presenti non se la prendano, sarebbe veramente noioso, cosa ci sarà mai d’interessante nella vita di un dentista? Allora ho capito che doveva essere un poliziotto, e in quel momento ho saputo anche i nomi di tutti i componenti della famiglia.
SC: La moglie aveva già quel brutto caratteraccio?
PM: Non ha un caratteraccio, semplicemente è il tipico carattere delle donne greche! Quando è comparsa per la prima volta in un mio romanzo, mio sorella mi ha telefonato e mi ha detto: “Ma quella è nostra madre, è così uguale che usa anche le stesse parole!”
SC: E invece quanto assomiglia a lei il commissario?
PM: Ci sono dei tratti comuni con tutta la mia famiglia. Quello che Kostas Charitos pensa e dice della Grecia è quello che penso e dico anche io. Mia figlia mi prende in giro perché dice che legge nei miei libri quello che mi ha già sentito dire dal vivo. Anche Caterina assomiglia a mia figlia, lei la chiama la sua sorella. Anche Maria, la balia, era la balia che ci ha cresciuti. Quando si scrive dei proprio ricordi, è importante mettere a punto una trama, perché i ricordi tendono a sovrastare la trama. Questo è ancora più difficile quando si tratta di personaggi; ho avuto l’idea di inserire un personaggio reale come Maria per non essere sovrastato dai miei ricordi.
ADG: Petros parla spesso di cucina, e nel libro ci sono spesso dispute fra le due cucine, quella greca e quella turca.
PM: Se dovessi spiegare la differenza fra la cucina greca e quella turca, direi che i nomi sono quasi identici, ma quella greca è una cucina della media borghesia, quella turca è invece aristocratica. Nel libro volevo mostrare le differenze fra le due cucine, anche la cultura del cibo è diversa, i turchi sono molto tranquilli e rilassati, mangiano con calma, hanno la cultura dello slow food, iniziano a cenare alle 7 e possono terminare a mezzanotte; i greci spazzano tutto in mezz’ora.
SC: Ci parli della “Culture of poverty”.
PM: Nel 1981 la Grecia è entrata a far parte dell’Unione Europea, che ha stanziato dei fondi per combattere la povertà; rispetto al passato, quindi, oggi è un paese ricco, e ha perso la cultura della povertà, acquistando quella dei soldi. Il commissario Charitos, invece, è rimasto legato all’antico mondo della povertà; si diverte a prendere in giro con battute sarcastiche i concittadini greci che hanno perso il valore della povertà.
SC: Cosa pensa della traduzione dei suoi libri in italiano?
PM: Non dico nulla se no il traduttore mi chiede più soldi! Sono fortunato ad avere Andrea di Gregorio, conosce perfettamente il greco, anche le espressioni colloquiali.
ADG: E’ importante conoscere anche le espressioni di tutti i giorni, la traduzione deve tenere il colore locale, ma senza esagerare. Nella traduzione dei libri di Petros mi sono trovato di fronte a una difficoltà: il commissario Charitos legge spesso il dizionario, come potevo rendere in italiano questi passaggi? I Greci usano tanto il greco antico, così io li ho tradotti in latino, in modo tale da poter ricreare lo stesso effetto.
SC: Vorrei dare un consiglio e un invito a Petros Markaris: perché non scrive un nuovo libro e non lo ambienta qui in Italia?
PM: Scriverò un nuovo libro, ma dopo la metà di novembre, fino ad allora sarò impegnato in giro con presentazioni e altro, invece io quando scrivo devo stare seduto alla mia scrivania, nella massima concentrazione, senza distrazioni di alcun tipo.
SC: Nei suoi romanzi non c’è mai una storia d’amore, è una scelta voluta o casuale?
PM: E’ una scelta voluta. La letteratura e la televisione sono piene di storie d’amore, non c’è bisogno che ne scriva anche io! Però io vengo da una storia d’amore… Mio nonno veniva da una ricchissima famiglia armena, suo padre era uno degli uomini più ricchi del sultanato. Un giorno la cuoca greca di suo padre gli chiese il permesso di portare a vivere in casa con loro la loro nipote, che veniva dall’isola di Andros. Mio nonno ovviamente se ne innamorò subito, fu un vero colpo di fulmine! Chiese al padre il permesso di sposarla, e lui gli rispose se era pazzo: sposare una cuoca, e per giunta greca! Ma mio nonno era molto ostinato, e non si diede per vinto, pur sotto le minacce di venire diseredato. Così si sposarono di nascosto, e al pranzo domenicale successivo si presentò con la nuova moglie. Il padre mise in atto la sua minaccia, così mio nonno se ne andò via, andò a vivere in un piccolo appartamento, e da quel momento in avanti non parlò mai più in armeno. Questa sì che è una storia d’amore! Quando la raccontai al mio editore svizzero, mi consigliò di trarne un libro, ma gli risposi: “Le storie d’amore non fanno per me!”
SC: Che rapporto ha con Atene, e qual è l’Atene che vedono i turisti?
PM: Mi piace Atene, e mi piacciono le sue contraddizioni. C’è la collina di Licabetto, quando si sale in cima e si vede Atene dall’alto sembra bruttissima, sembra una città che ti vuole respingere e ti dica di andartene, ma se non dai retta a quella voce e rimani, scoprirai mille miracoli in questa città. In questo momento sto scrivendo un libro che non è un romanzo, ma un viaggio nella vecchia città fatto in metro dal Pireo a Kifissia; quello che descrivo è il tessuto sociale della città, gli angoli più poveri sono anche quelli più interessanti, dove pulsa la storia e la vita di Atene. Se volete mettere alla prova il turista che voglia scoprire la Grecia, non mandatelo a Santorini, a Rodi, a Corfù, ma mettetelo piuttosto su un autobus in piazza Omonia a mezzogiorno in agosto. Se decide di rimanere ad Atene dopo questa esperienza, sarà peggio dei Greci: si prenderà gioco dei poliziotti, guiderà da cani, a mezzogiorno si piazzerà al bar a bere il tipico frappè di Nescafè.
SC: In tutti i suoi romanzi, tranne che in questo, c’è un richiamo alla dittatura dei colonnelli. Cos’è rimasto di questo periodo della storia in Grecia e com’è stato tramandato alle nuove generazioni?
PM: Viviamo in un periodo post-dittatoriale, quella fase della nostra storia non è ancora finita, e non penso che sarà dichiarato capitolo chiuso neanche con le prossime elezioni. Il problema della Grecia è che i suoi abitanti hanno la memoria molto corta: dimenticano perché vogliono dimenticare, e questa cosa ha un impatto molto forte sulle nuove generazioni sotto due forme: la maggioranza dei giovani è apolitica, vuole solo avere un posto di lavoro; la minoranza, molto piccola ma molto aggressiva, composta prevalentemente da studenti, è in contrasto forte con le autorità, dicono che viviamo in una giunta, ma non è così. Al di là di tutte le sue debolezze, la Grecia è una democrazia che funziona, i giovani che parlano così non sanno cosa sia una vera giunta. Ci sono due ragioni per cui parlo di questo periodo nei miei libri: la prima è che non l’abbiamo ancora superato, la seconda è che voglio che le persone si ricordino e capiscano com’era vivere in un periodo di dittatura.
SC: Con queste nuove generazioni vede la possibilità di superare questo brutto periodo per la Grecia?
PM: La Grecia vive un periodo di forte crisi, non solo finanziaria, ma soprattutto sociale. La soluzione potrebbe essere che i partiti e le associazioni sociali si uniscano e si mettano d’accordo. I partiti politici dovrebbero mettere da parte la loro miopia e sedersi a un tavolo a parlare, ma non c’è speranza che il cambiamento avvenga con le prossime elezioni.
SC: Ci parli della sua esperienza di traduttore.
PM: E’ un lavoro completamente diverso da quello dello scrittore: quest’ultimo, infatti, deve conoscere bene gli aspetti di una sola lingua, mentre il traduttore deve conoscere bene sia lingue diverse, sia linguaggi diversi. Io ho tradotto dal tedesco sia il Faust sia delle commedie, e mi è stato di grande aiuto per il mio lavoro di scrittore. Quando ho tradotto il Faust, ho iniziato con il greco antico e ho finito con il greco moderno, per rendere lo svolgersi delle vicende nell’arco di due secoli.
SC: Mi incuriosisce la lettura frequente da parte del commissario Charitos del dizionario. Come le è venuta questa idea?
PM: Ho appena parlato del mio lavoro di traduttore, è impossibile essere un traduttore e non amare il dizionario, così ho trasmesso a Kostas il mio amore. Nel secondo romanzo addirittura non lo usa solo per capire il significato delle parole, ma anche per trovare la chiave per la soluzione del caso.
SC: Al Festivaletteratura di Mantova ha parlato del termine “filotimia”. Ci parli di questa espressione.
PM: Non è una semplice parola, ma descrive un modo di essere, di pensare, di comportarsi. Letteralmente significa “amante del valore, dell’onore”, e sta a indicare il fare di necessità virtù, l’avere una natura onesta e seria in tutto quello che si fa.
SC: Parliamo dei titoli dei suoi libri. “La balia” non si chiamava così. Cosa ne pensa della traduzione non fedele del titolo di un libro?
PM: Non faccio obiezioni, rispetto la scelta dell’editore di cambiare un titolo perché sicuramente conosce il suo pubblico e il suo mercato meglio di me. In altri paesi è ancora peggio: i tedeschi cambiano tutti i titoli, in Spagna “Si è suicidato il Che” è stato modificato perché ritenevano che richiamasse troppo fortemente la rivoluzione, solo gli italiani hanno tradotto letteralmente. Il titolo originale de “La balia” sarebbe “παλια πολύ παλια”, ovvero “Tanto tanto tempo fa”. In greco ha senso perché richiama lo strappo fra occidente e oriente, fra ieri e oggi.
Chiudo con un proverbio che ha citato lo scrittore nel momento in cui si è scatenato come una furia il temporale, tanto da doversi interrompere per il rumore dei tuoni: “E’ una tempesta, passerà”. La stessa espressione viene utilizzata dal commissario Charitos in riferimento alla propria moglie.
*giuliaduepuntozero
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