Intervista a Petros Markaris, Parolario, Como

Petros Markaris, Parolario, Como - foto: halighalie
Petros Markaris, Parolario, Como – foto: halighalie, flickr

Venerdì 11 settembre sono stata  a Como a Parolario, la manifestazione letteraria di cui avevamo già parlato su questo blog.

19.00 Como, Piazza Cavour
Incontro con l’autore: Petros Markaris “La Balia, il commissario Charistos a Istanbul“.
Dialoga con Severino Colombo. Sarà presente Andrea Di Gregorio, traduttore dei libri di Markaris. Interprete dall’inglese Emanuela Gini

Inutile dire che l’incontro è stato bellissimo, interessantissimo, lui simpaticissimo e spiritosissimo, e complice un temporale furibondo, si è pure protratto per due ore.

Riporto l’intervista di quella serata.

Severino Colombo: Lei è nato a Istanbul ma è greco. Si sente turco o greco?

Petros Markaris: Mio padre era armeno, mia madre greca di Istanbul. Quando parlo di Istanbul, parlo della minoranza greca. Ho frequentato una scuola austriaca per studiare il tedesco, perché mio padre voleva che continuassi la sua attività e pensava che il tedesco sarebbe diventato la lingua commerciale. Mio padre si è sbagliato su entrambi i punti! Grazie a questi studi, però, sono diventato traduttore dal tedesco al greco. Mi sento di appartenere a Istanbul, anche se per me la parola “patria” non significa nulla, ma se ci deve essere un posto che considero la mia patria, questo è Istanbul.

SC: Qual è la lingua di Markaris?

Andrea Di Gregorio: Markaris si propone di descrivere con la forma del giallo uno spaccato della quotidianità: usa quindi la lingua di tutti i giorni, ma con delle sottigliezze, ad esempio usa il greco dei greci e il greco dei romei (greci di Turchia), che sono diversi. Nel libro, Istanbul viene chiamata Costantinopoli o “La Città” dai greci, mentre i turchi la chiamano Istanbul.

SC: Com’è nato il commissario Charitos?

PM: Non l’ho inventato, è stato lui a venire da me. Dal 1991 al 1993 mi sono dedicato alla scrittura della sceneggiatura di una fiction greca che ha avuto molto successo, e alla fine ero davvero esausto, non avevo più idee, così sono andato dal produttore, e gli ho detto che avrei smesso. Mi ha risposto se ero impazzito, stavamo guadagnando un sacco di soldi con quella fiction! Siamo giunti a un compromesso, avrei scritto ancora per qualche mese. Così ero lì, seduto alla mia scrivania, che pensavo a qualcosa da scrivere, quando di fronte a me, all’improvviso, è comparsa questa famiglia, una tipica famiglia della piccola borghesia, padre, madre e figlio. La mia prima reazione è stata di cacciarli: insomma, la tv, i film, la letteratura, sono pieni di tipiche famiglie piccolo-borghesi, non li volevo! Cosa avrei potuto scrivere di nuovo? Ma l’uomo era così testardo che non se ne voleva andare via, e mi deconcentrava, divenne una vera e propria tortura, tanto che pensai: deve essere per forza un dentista o un poliziotto, entrambi sanno torturare così bene! Ma se fosse un dentista, e i dentisti qui presenti non se la prendano, sarebbe veramente noioso, cosa ci sarà mai d’interessante nella vita di un dentista? Allora ho capito che doveva essere un poliziotto, e in quel momento ho saputo anche i nomi di tutti i componenti della famiglia.

SC: La moglie aveva già quel brutto caratteraccio?

PM: Non ha un caratteraccio, semplicemente è il tipico carattere delle donne greche! Quando è comparsa per la prima volta in un mio romanzo, mio sorella mi ha telefonato e mi ha detto: “Ma quella è nostra madre, è così uguale che usa anche le stesse parole!”

SC: E invece quanto assomiglia a lei il commissario?

PM: Ci sono dei tratti comuni con tutta la mia famiglia. Quello che Kostas Charitos pensa e dice della Grecia è quello che penso e dico anche io. Mia figlia mi prende in giro perché dice che legge nei miei libri quello che mi ha già sentito dire dal vivo. Anche Caterina assomiglia a mia figlia, lei la chiama la sua sorella. Anche Maria, la balia, era la balia che ci ha cresciuti. Quando si scrive dei proprio ricordi, è importante mettere a punto una trama, perché i ricordi tendono a sovrastare la trama. Questo è ancora più difficile quando si tratta di personaggi; ho avuto l’idea di inserire un personaggio reale come Maria per non essere sovrastato dai miei ricordi.

ADG: Petros parla spesso di cucina, e nel libro ci sono spesso dispute fra le due cucine, quella greca e quella turca.

PM: Se dovessi spiegare la differenza fra la cucina greca e quella turca, direi che i nomi sono quasi identici, ma quella greca è una cucina della media borghesia, quella turca è invece aristocratica. Nel libro volevo mostrare le differenze fra le due cucine, anche la cultura del cibo è diversa, i turchi sono molto tranquilli e rilassati, mangiano con calma, hanno la cultura dello slow food, iniziano a cenare alle 7 e possono terminare a mezzanotte; i greci spazzano tutto in mezz’ora.

SC: Ci parli della “Culture of poverty”.

PM: Nel 1981 la Grecia è entrata a far parte dell’Unione Europea, che ha stanziato dei fondi per combattere la povertà; rispetto al passato, quindi, oggi è un paese ricco, e ha perso la cultura della povertà, acquistando quella dei soldi. Il commissario Charitos, invece, è rimasto legato all’antico mondo della povertà; si diverte a prendere in giro con battute sarcastiche i concittadini greci che hanno perso il valore della povertà.

SC: Cosa pensa della traduzione dei suoi libri in italiano?

PM: Non dico nulla se no il traduttore mi chiede più soldi! Sono fortunato ad avere Andrea di Gregorio, conosce perfettamente il greco, anche le espressioni colloquiali.

ADG: E’ importante conoscere anche le espressioni di tutti i giorni, la traduzione deve tenere il colore locale, ma senza esagerare. Nella traduzione dei libri di Petros mi sono trovato di fronte a una difficoltà: il commissario Charitos legge spesso il dizionario, come potevo rendere in italiano questi passaggi? I Greci usano tanto il greco antico, così io li ho tradotti in latino, in modo tale da poter ricreare lo stesso effetto.

SC: Vorrei dare un consiglio e un invito a Petros Markaris: perché non scrive un nuovo libro e non lo ambienta qui in Italia?

PM: Scriverò un nuovo libro, ma dopo la metà di novembre, fino ad allora sarò impegnato in giro con presentazioni e altro, invece io quando scrivo devo stare seduto alla mia scrivania, nella massima concentrazione, senza distrazioni di alcun tipo.

SC: Nei suoi romanzi non c’è mai una storia d’amore, è una scelta voluta o casuale?

PM: E’ una scelta voluta. La letteratura e la televisione sono piene di storie d’amore, non c’è bisogno che ne scriva anche io! Però io vengo da una storia d’amore… Mio nonno veniva da una ricchissima famiglia armena, suo padre era uno degli uomini più ricchi del sultanato. Un giorno la cuoca greca di suo padre gli chiese il permesso di portare a vivere in casa con loro la loro nipote, che veniva dall’isola di Andros. Mio nonno ovviamente se ne innamorò subito, fu un vero colpo di fulmine! Chiese al padre il permesso di sposarla, e lui gli rispose se era pazzo: sposare una cuoca, e per giunta greca! Ma mio nonno era molto ostinato, e non si diede per vinto, pur sotto le minacce di venire diseredato. Così si sposarono di nascosto, e al pranzo domenicale successivo si presentò con la nuova moglie. Il padre mise in atto la sua minaccia, così mio nonno se ne andò via, andò a vivere in un piccolo appartamento, e da quel momento in avanti non parlò mai più in armeno. Questa sì che è una storia d’amore! Quando la raccontai al mio editore svizzero, mi consigliò di trarne un libro, ma gli risposi: “Le storie d’amore non fanno per me!”

SC: Che rapporto ha con Atene, e qual è l’Atene che vedono i turisti?

PM: Mi piace Atene, e mi piacciono le sue contraddizioni. C’è la collina di Licabetto, quando si sale in cima e si vede Atene dall’alto sembra bruttissima, sembra una città che ti vuole respingere e ti dica di andartene, ma se non dai retta a quella voce e rimani, scoprirai mille miracoli in questa città. In questo momento sto scrivendo un libro che non è un romanzo, ma un viaggio nella vecchia città fatto in metro dal Pireo a Kifissia; quello che descrivo è il tessuto sociale della città, gli angoli più poveri sono anche quelli più interessanti, dove pulsa la storia e la vita di Atene. Se volete mettere alla prova il turista che voglia scoprire la Grecia, non mandatelo a Santorini, a Rodi, a Corfù, ma mettetelo piuttosto su un autobus in piazza Omonia a mezzogiorno in agosto. Se decide di rimanere ad Atene dopo questa esperienza, sarà peggio dei Greci: si prenderà gioco dei poliziotti, guiderà da cani, a mezzogiorno si piazzerà al bar a bere il tipico frappè di Nescafè.

SC: In tutti i suoi romanzi, tranne che in questo, c’è un richiamo alla dittatura dei colonnelli. Cos’è rimasto di questo periodo della storia in Grecia e com’è stato tramandato alle nuove generazioni?

PM: Viviamo in un periodo post-dittatoriale, quella fase della nostra storia non è ancora finita, e non penso che sarà dichiarato capitolo chiuso neanche con le prossime elezioni. Il problema della Grecia è che i suoi abitanti hanno la memoria molto corta: dimenticano perché vogliono dimenticare, e questa cosa ha un impatto molto forte sulle nuove generazioni sotto due forme: la maggioranza dei giovani è apolitica, vuole solo avere un posto di lavoro; la minoranza, molto piccola ma molto aggressiva, composta prevalentemente da studenti, è in contrasto forte con le autorità, dicono che viviamo in una giunta, ma non è così. Al di là di tutte le sue debolezze, la Grecia è una democrazia che funziona, i giovani che parlano così non sanno cosa sia una vera giunta. Ci sono due ragioni per cui parlo di questo periodo nei miei libri: la prima è che non l’abbiamo ancora superato, la seconda è che voglio che le persone si ricordino e capiscano com’era vivere in un periodo di dittatura.

SC: Con queste nuove generazioni vede la possibilità di superare questo brutto periodo per la Grecia?

PM: La Grecia vive un periodo di forte crisi, non solo finanziaria, ma soprattutto sociale. La soluzione potrebbe essere che i partiti e le associazioni sociali si uniscano e si mettano d’accordo. I partiti politici dovrebbero mettere da parte la loro miopia e sedersi a un tavolo a parlare, ma non c’è speranza che il cambiamento avvenga con le prossime elezioni.

SC: Ci parli della sua esperienza di traduttore.

PM: E’ un lavoro completamente diverso da quello dello scrittore: quest’ultimo, infatti, deve conoscere bene gli aspetti di una sola lingua, mentre il traduttore deve conoscere bene sia lingue diverse, sia linguaggi diversi. Io ho tradotto dal tedesco sia il Faust sia delle commedie, e mi è stato di grande aiuto per il mio lavoro di scrittore. Quando ho tradotto il Faust, ho iniziato con il greco antico e ho finito con il greco moderno, per rendere lo svolgersi delle vicende nell’arco di due secoli.

SC: Mi incuriosisce la lettura frequente da parte del commissario Charitos del dizionario. Come le è venuta questa idea?

PM: Ho appena parlato del mio lavoro di traduttore, è impossibile essere un traduttore e non amare il dizionario, così ho trasmesso a Kostas il mio amore. Nel secondo romanzo addirittura non lo usa solo per capire il significato delle parole, ma anche per trovare la chiave per la soluzione del caso. 

SC: Al Festivaletteratura di Mantova ha parlato del termine “filotimia”. Ci parli di questa espressione.

PM: Non è una semplice parola, ma descrive un modo di essere, di pensare, di comportarsi. Letteralmente significa “amante del valore, dell’onore”, e sta a indicare il fare di necessità virtù, l’avere una natura onesta e seria in tutto quello che si fa.

SC: Parliamo dei titoli dei suoi libri. “La balia” non si chiamava così. Cosa ne pensa della traduzione non fedele del titolo di un libro?

PM: Non faccio obiezioni, rispetto la scelta dell’editore di cambiare un titolo perché sicuramente conosce il suo pubblico e il suo mercato meglio di me. In altri paesi è ancora peggio: i tedeschi cambiano tutti i titoli, in Spagna “Si è suicidato il Che” è stato modificato perché ritenevano che richiamasse troppo fortemente la rivoluzione, solo gli italiani hanno tradotto letteralmente. Il titolo originale de “La balia” sarebbe “παλια πολύ παλια”, ovvero “Tanto tanto tempo fa”. In greco ha senso perché richiama lo strappo fra occidente e oriente, fra ieri e oggi.

Chiudo con un proverbio che ha citato lo scrittore nel momento in cui si è scatenato come una furia il temporale, tanto da doversi interrompere per il rumore dei tuoni: “E’ una tempesta, passerà”. La stessa espressione viene utilizzata dal commissario Charitos in riferimento alla propria moglie.

*giuliaduepuntozero

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13 risposte a “Intervista a Petros Markaris, Parolario, Como”

  1. Lo ripeto: Markaris è delizioso.
    Che scoperta, poi, i termini greci in un romanzo moderno. Tu credi che possano trovare spazio solo in un poema omerico, ed invece sanno essere attualissimi.
    Ad esempio, dopo aver descritto un avvenimento sciocco, ma capace di affascinare la popolazione, con l’espressione palingenesi nazionale, non puoi che usare quelle parole.
    Bravissimo il traduttore.
    E come mangia Charitos, che stomaci vivono nei gialli mediterranei, da Carvalho ad Izzo.
    I nordici no. Wallander, che giace aperto accanto a me, ha appena scoperto che il minestrone surgelato ha un gusto piacevole.
    Se Adriana entrasse in Muro di Fuoco si farebbe il segno della croce e preparerebbe una frittura catartica.

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  2. ciao giuliaduepuntozero,

    mi ha incuriosito quell’accenno nell’intervista alla “culture of poverty” da parte di Severino Colombo, al quale Markaris, mi pare, abbia risposto un po’ superficialmente, laconico.
    Hai idea da cosa origini la domanda? Il fatto che Colombo abbia usato l’espressione in inglese – “culture of poverty” – mi fa pensare che si riferisse allo specifico concetto elaborato dalla sociologia relativo ai valori che si affermano nei ceti più poveri e che finiscono con intrappolare queste persone in una rete culturale oltre che sociale. Per es. cfr. http://www.newsweek.com/id/129681
    E’ un concetto che si trova nei romanzi di Markaris?

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  3. Ciao Luiginter. In attesa della risposta di Giulia, che sarà senz’altro più precisa della mia, provo a dirti cosa penso della cultura della povertà in Markaris.
    Non ho riscontrato (nell’unico libro letto, per ora) una elevazione di tale concetto ad un sorta di etica della povertà. Ho letto, invece, la difesa della povertà come difesa di un mondo che sta scomparendo, sostituito da un nuovo mondo patinato che viene pubblicizzato come desiderabile, ma che è più miserabile di quello vecchio.
    Per Charitos l’auto non si cambia ma si ripara, l’aria condizionata non è essenziale, il cibo è sacro. Ma il commissario sa che, dietro questa mentalità, è già viva la sua antagonista, quella, ad esempio, del prestito per una nuova macchina più potente, che rimarrà comunque bloccata nel traffico estenuante di Atene, esattamente come accade alla sua scassata Mirafiori.
    In questo essere controcorrente rispetto ai valori che iniziano ad essere dominanti in Grecia, credo che si possa inserire anche la sua idea delle figure femminili e della famiglia. Anche sua moglie fa parte di questa cultura della povertà. E’ una donna arcaica, secondo i parametri moderni, onnipresente, impicciona, sempre a farsi il segno della croce, con il fazzoletto in testa, pronta a celebrare ogni avvenimento, o a stemperare tensioni, con il cibo. Ma per lui è essenziale, fuori da ogni giudizio. La famiglia è allargata, comprende i consuoceri (chi li chiama più così?), e tra di loro non si chiamano per nome, ma proprio consuocero/a. La casa è arredata ed ha le tendine, ed i mobili non si cambiano perchè rappresentano anche ricordi.
    E’ un mondo che sta per scomparire, nell’ironia sferzante dell’autore questa consapevolezza è presente. Proprio per questo difende tenacemente ciò che andrebbe gettato, ma che lui ripara. Sostituire quella dannata Mirafiori sarebbe come rinunciare ad un mondo arcaico, fatto di aria pulita, tramonti sul mare, pergolati sulle tettoie, familiari amati, case che rassicurano.
    Questi valori non sono più presenti, invece, nei giallisti nordici. Le figure femminili (mogli, madri e figlie) sono sempre presenze sfuggenti, fonti di angosce più che consolazione, le case sono spoglie, il cibo è un dovere più che un piacere.
    “Il mondo come era un tempo” non c’è, il ricordo è già sbiadito, e non c’è nessun Charitos che lo perpetui testardamente con il rifiuto di sostituire oggetti vecchi con altri nuovi.
    Ciao.

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  4. Ciao a tutti,
    eccomi.
    Beh, direi che anto ha risposto benissimo, meglio di come avrei potuto fare io. Confermo quello che ha sottolineato, così come ha detto anche Markaris: nei libri del commissario Charitos c’è sempre un accenno ai vecchi valori di una volta, una reticenza al cambiamento, che sia sostituire la vecchia Mirafiori, che sia acquistare un giubbotto di pelle per il genero.
    Per quanto riguarda la genesi della domanda, non ricordo di precisione perché è stata proprio mentre scoppiava il temporale, eravamo sotto a un tendone e quindi proprio nel momento in cui, tranne chi era in prima fila, non si sentiva molto. Ammetto quindi che potrebbe aver risposto anche più dettagliatamente, ma io non ho colto. Mi sembra di ricordare che la domanda, come quella sulla filotimia, fosse nata a seguito dell’intervento di Markari al Festivaletteratura, su cui Severino Colombo ha chiesto approfondimenti.
    Luiginter, devi leggerlo!
    *giuliaduepuntozero

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  5. @ Anto
    consentimi una difesa d’ufficio :
    per quel che ricordo dei gialli di Mankell e dell’ispettore Wallander è vero che il piacere della buona tavola non si avvicina minimamente a quello dei gialli “mediterranei”… per il resto mi vengono in mente alcune considerazioni che il nordico ispettore faceva spesso sulla vacuità e sugli eccessi della vita moderna, per es. quando pensava, desolatamente, quasi, che in Svezia tutto era cambiato da quando non si rammendavano più le calze o si viaggiava poco in treno… e poi il suo tenore di vita, la lotta perenne con le bollette, l’auto che ha cambiato quando ormai era ridotta ad un rottame, tutte le sue riflessioni sulla società attuale (soprattutto quando andava a trovare il padre o il suo vecchio, ritrovato amico allevatore di cavalli).
    Wallander è un nostalgico dei valori passati e anche Van Vetereen di Håkan Nesser ha all’incirca un plot simile, insomma io vi ho ritrovato qualcosa di simile a quello che tu descrivi come ” la difesa della povertà come difesa di un mondo che sta scomparendo, sostituito da un nuovo mondo patinato che viene pubblicizzato come desiderabile, ma che è più miserabile di quello vecchio”.
    Molto diversi, naturalmente, i gialli della Millennium Trilogy di Larsson.
    Riporto, sempre a difesa di Wallander, lo stralcio di un vecchio articolo:
    “Meno sanguigno di Montalbano, meno godereccio di Pepe Carvalho, meno bonario di
    Maigret, l’ispettore Wallander è un vero svedese che condisce le indagini con sobrietà nordica, understatement luterano e attenzione sociale scandinava. È frutto d’una letteratura avvincente quanto etica. Acuto investigatore, Wallander è un uomo con le difficoltà quotidiane della gente comune. Quando da Malmö si trasferisce a Ystad, una bella cittadina medievale con trecento case in pietra a intelaiatura reticolare visiva e un panoramico lungomare, va a vivere in un condominio della periferica Mariagatan. Nella Svezia di salmone e uova di pesce, è tutt’altro che un buongustaio: scandisce la giornata con tazze di caffè lungo, mangia hamburger, pizza e würstel, e la sera affoga i pensieri nella birra, tanto da essere sovrappeso e diabetico. La sua massima raffinatezza è il sandwich di pane nero e aringhe affumicate che addenta da Fridolf’s, il caffè sulla piazza
    del Municipio” (Marco Moretti, La Stampa, 17 agosto 2006).
    Ciao e scusami …ma amo troppo Wallander…quasi come tua suocera!

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  6. Che dire Silvana, la tua difesa non ha sbavature.
    Charitos e Wallander sono, in effetti, simili. Entrambi stropicciati e poco inclini a lasciarsi incantare da ciò che è futile.
    Però una differenza c’è, e so già che non riuscirò a spiegarla.
    Wallander è un uomo moderno, lotta con la macchina a pezzi, ma quando non ce la fa più entra in banca e chiede un prestito con la sensazione (falsa, lo riconosce) di essere diventato ricco. Rimpiange il passato, ma ha le sue radici nel presente. Charitos no, non me lo immagino alle prese con una finanziaria. Piuttosto vedo la moglie risparmiare e comprare l’auto in contanti. Sono coetanei, ma Charitos è più “antico”. Sembra quasi in bilico tra passato e presente, oriente e occidente, ma con le radici nel passato. La sua mania di leggere il dizionario lo descrive senza bisogno di dire altro.
    La differenza, magari, non è data tanto dai personaggi, ma dalla società in cui operano, luterana la prima, cristiano/ortodossa la seconda o meglio, industriale la prima, agricola la seconda.
    E’ vero, comunque, che la differenza si nota prevalentemente con Larsson.
    Hai accennato a Håkan Nesser. Non ho mai letto nulla di questo autore, e pensavo di iniziare con L’uomo senza un cane. Cosa mi consigli?
    Tra l’altro, ho anche l’obbligo di far scoprire a mia suocera un nordico che le faccia dimenticare Wallander.
    Quanto alle scuse, accettate, anche perchè Wallander è contagioso. E’ passato da mia suocera a suo figlio, e adesso a me.
    Ciao.

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  7. Ciao Silvana, ciao Anto
    complimenti Silvana per le considerazioni su Wallander, che ho condiviso e approvato. Fra l’altro, ho iniziato proprio stamattina *La quinta donna*, e Mankell come sempre mi appassiona e mi rende felice di leggere in quel momento un bel libro.
    Mi piacciono i gialli, come si sarà capito, per tanti motivi su cui ora non mi dilungo; mi piace Charitos perché mi fa ridere, o a volte sorridere amaramente, perché è un buongustaio e perché sua moglie lo tira scemo, perché è greco e si sa, greci e italiani stessa faccia stessa razza. Però mi piace tanto anche Wallander e i suoi colleghi nordici perché sono malinconici, sono tristi, fa freddo e buio e quando ci sono 20 gradi non connettono più per il caldo, perché una pizza è la cena più buona del mondo.
    *giuliaduepuntozero

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  8. Ciao, Anto
    sei riuscita a spiegare molto esaurientemente, invece, la differenza che in effetti è macroscopica ed è tutta giocata su quel senso di antichità / arcaicità di atteggiamenti che ritrovo ancora facilmente nel mio essere meridionale , anzi mediterranea.
    Di Markaris ho letto anni fa un centinaio di pagine di “Ultime della notte “e poi mi sono arenata come mi è accaduto col terzo della trilogia di Larsson , eppure, leggendo le recensioni su Ibs , il voto dato a questo libro è altissimo. Pennac, con la carta dei diritti del lettore, mi ha rovinata perché sto lasciando dietro di me una scia inquietante di letture incompiute.
    Per i gialli di Nesser, visto che c’è una suocera di mezzo da accontentare ( e, se non ricordo male, lei è una della serie “come Wallander nessuno mai”) io inizierei con le inchieste del commissario Van Veeteren , seguendo la cronologia che è la seguente:
    La rete a maglie larghe
    L’uomo che visse un giorno
    Una donna segnata
    Il commissario e il silenzio
    Carambole

    @ giuliaduepuntozero : a te, carissima , prolifica autrice di post e di molte letture e amori condivisi,cosa posso dire se non che il mio cuore è scisso? da un lato c’è il mio essere meridionale però sono irrimediabilmente persa nel mio amore per il grande nord, come pure tu, mi pare. Quando mio marito poteva ancora viaggiare , le nostre mete erano sempre oltre il circolo polare artico : attraversare la tundra per decine di km senza incontrare un’anima , incontrarsi o scontrarsi con grossi alci che attraversano la strada tranquillamente, lasciare il passo ad un gregge di renne , fare il bagno nei pressi di Capo Nord è un’esperienza indimenticabile…e poi le Lofoten e le balene che immergono la pinna caudale…un momento talmente magico ed esteticamente perfetto che ti fa venire voglia di credere in un dio.

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  9. Silvana, mi sa che andiamo molto d’accordo. Anche io sono per il Nord… negli ultimi anni abbiamo fatto Danimarca, Islanda, questa estate Germania del Nord!

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  10. Ciao a tutti,
    da quel che dice *Anto* (https://gruppodilettura.wordpress.com/2009/09/23/intervista-a-petros-markaris-parolario-como/#comment-23506) mi pare che l’idea di cultura della povertà di Charitos sia ben divrsa da quella della sociologia americana che identifica nella “culture of poverty” una vera gabbia all’emancipazione dei ceti in difficoltà; una specie di camicia di forza che tiene gli individui dentro un mix fatto di machismo, violenza, culto dell’atto pericoloso, ostilità per chi sta oltre i confini (sociali, di quartiere, spesso anche razziali); che spinge per esempio le donne a sopportare le sopraffazioni degli uomini legittimandone in qualche modo la superiorità protettiva: mi pare che quel che disegna Markaris per Charitos sia un orgoglio e una dignità dell’essere sobrio e semplice. Comunque seguo il consiglio: mi leggo uno dei romanzi con Charitos 🙂
    ciao ciao

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  11. Cara Silvana, grazie per i consigli e per i tuoi ricordi.
    Anche io ho splendidi ricordi di quei viaggi. So cosa si prova a scontrarsi con le alci, a fare un bagno in mari ghiacciati, ed a perdersi nel fogliame che si riflette nei fiordi.
    Non so perchè, ma questi posti mi provocano sempre sensazioni quasi simili alla paura. Il silenzio è così totale, la natura così forte, il cielo è alto, blu. Paura, inquietudine, non so, certo non è rassicurante come un panorama meridionale. La penisola di Neringa poi è meravigliosa.
    Per inciso, non intendevo assolutamente fare paragoni tra Wallander e Charitos.

    Luiginter, come hai già detto, la povertà di Charitos non ha nulla a che vedere con quella della sociologia americana. Per fortuna, perchè questa culture of poverty mi sembra angosciante.
    Ciao

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  12. Ciao Anto, è’stato un piacere condividere esperienze di viaggi oltre che di letture…in fondo leggere è come fare un bel viaggio, quindi letture e viaggi condivisi.
    Tu scrivi del Grande Nord :” Lì il silenzio è così totale, la natura così forte, il cielo è alto” però a me quei maestosi paesaggi non comunicano paura o inquietudine ma la sensazione di potermi imbattere, da un momento all’altro, in qualche creatura della mitologia o in un troll dispettoso; però se dovessi immergermi o fare snorkeling in quei mari… sì che avrei paura e trovo davvero rassicurante il nostro mare Mediterraneo !
    Grazie a te.

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  13. […] alla memoria di qualcuno i gusti culinari degli investigatori letterari del Nord Europa, e la discussione fatta tempo fa sui pranzi di Wallander e di Charitos. Senza arrivare neppure al caso di Manuel Vázquez […]

    "Mi piace"

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