Nel suo Jacques il fatalista a un certo punto Denise Diderot fa pronunciare al suo personaggio le parole: “Ma chi sarà il padrone? Lo scrittore o il lettore?” Una prima risposta legittima è: entrambi. Alla libertà dello scrittore di mettere su carta ciò che vuole corrisponde la libertà del lettore di interpretare come meglio crede ciò che legge. Come si usa dire, e non si tratta di una battuta, l’autore di un romanzo non è il suo miglior critico, anche se non bisogna mai dimenticare che, fra le tante cose utili alla comprensione di un testo, bisogna mettere pure ciò che Tommaso d’Aquino definiva quem autor intendit, le intenzioni dell’autore.All’inizio degli anni Sessanta, Umberto Eco, autore di precoce ingegno, pubblicò un saggio dal titolo Opera Aperta, che indicava come caratteristica dell’opera d’arte la sua “apertura interpretativa”. (…) Tutte le grandi opere d’arte, sosteneva, non solo quelle moderne, sono “aperte” a diverse possibilità di lettura, suscettibili cioè di essere interpretate nei modi più vari.
Questo stralcio è tratto dal libro “Leggere” di Corrado Augias (Mondadori, 120 pagg., 12 euro) appena uscito in libreria.
La domanda è: ha ragione Umberto Eco? Io credo di sì. Ogni lettore legge lo stesso libro ma in modo diverso. Ne coglie dettagli differenti, ne deduce un significato complessivo differente, si diverte o pensa o si rattrista su pagine differenti.
Quindi, vi propongo questo gioco: scegliamo un racconto e leggiamolo insieme. E poi, vedremo se vincerà l’autore (se cioè la maggior parte delle interpretazioni convergeranno in una stessa direzione) o se, come dice Eco, ci saranno tante interpretazioni quanti lettori.
Io propongo Cechov (quale racconto poi si può scegliere insieme) per chiarezza stilistica, essenzialità della scrittura e capacità di raccontare la vita in bianco e nero, ma è solo un’idea. Che ne dite?
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