“Il gorgo” di Beppe Fenoglio

“Il gorgo” di Beppe Fenoglio

Il gorgo è buio e profondo e una volta entrati non c’è salvezza. Così il narratore ed “eroe” di questa breve storia ci mostra, raccontando – e leggendo lo si vede cambiare il passo – il momento decisivo, giusto a metà del racconto. È la vera decisione, quasi impercettibile nella dinamica della vicenda, già in pieno svolgimento, che salva la vita al padre: per fermarlo nella sua discesa al fiume, al Belbo, dove sta andando per farla finita con la vita, il giovane narratore, un bambino di nove anni, trasforma il suo andare; ci dice: “dovetti buttarmi a una mezza corsa” lui infatti “mi staccava a solo camminare”.

Il gorgo, uscito sullo rivista «Il Caffè» nel 1954, è parte del filone di racconti pieni delle esistenze contadine delle Langhe che Beppe Fenoglio (1922-1963) avrebbe concentrato nel romanzo La malora, uscito proprio nel ‘54.
Per la verità, il momento decisivo della storia sembra avvenuto prima di quella mezza corsa. È stato quando il padre “si decise per il gorgo” e, ci dice il piccolo narratore nelle primissime righe, “soltanto io lo capii”. La sua è una famiglia povera e disgraziata e condannata: la povertà, la fatica e la disperazione per un fratello a “far la guerra d’Abissinia” e dal quale non arriva più posta.
E una sorella morente, colpita da un male che i medici non sanno curare. Soffre e obbliga a spese e la madre comanda alla famiglia di “pregare il Signore che la portasse via”. Recitano il rosario ogni sera per tutti e due, “con la testa fra le mani”.
Fu in uno di “questi giorni”, ci dice il piccolo narratore, che “nostro padre si leva da tavola e dice con la sua voce ordinaria: «scendo fino al Belbo, a voltare le fascine che m’hanno preso la pioggia»”.
Siamo a circa un terzo della storia, che qui comincia a srotolarsi, a diventare azione, a prendere il suo ritmo indimenticabile, che sarà proprio la “mezza corsa” del bambino narratore a scandire e a portare a un finale che, per qualche minuto, terminata la lettura, ci sembrerà persino lieto.
È l’unico a capire cosa avesse deciso di fare il padre – nemmeno la madre aveva afferrato: non “fece il più piccolo gesto, seguitò a pulire il paiolo, e sì che conosceva il suo uomo come se fosse il primo dei suoi figli” – e sa di poterlo salvare solo facendo tutto da solo.

Da qui in poi ansimiamo con questo ragazzino che scende all’inseguimento dell’uomo. Pochi minuti nel tempo della storia, ancora meno per noi che leggiamo. Ma in quelle righe c’è tutta la relazione fra un figlio e suo padre, i corpi che si toccano, il forcone minaccioso, l’impossibilità di guardare l’uomo in faccia, in quel momento, “per la vergogna di vederlo come nudo”.
Ancora poche righe che ci dicono tanto sulle nostre vite; parole che ciascuno dovrebbe accarezzare, leggendo e rileggendo, sgranando le frasi, fino a quando, finalmente, si sta come se si fosse dentro gli occhi del figlio che guardano finalmente il volto del padre. 
Sono salvi, tornano affiancati, e il padre “grattava col pollice, ma leggero come una formica, tra i due nervi che abbiamo dietro il collo”.
La loro disperazione tornerà domani, mi ha detto una persona alla quale avevo consigliato la lettura del racconto. È vero, ho pensato: ma forse, come per il Sisifo di Camus, anche per quel bambino è stato meglio provare a vivere: “Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice”.

Commenti

2 risposte a ““Il gorgo” di Beppe Fenoglio”

  1. Avatar Paola
    Paola

    Grazie, amo molto Fenoglio, non conoscevo questo racconto, lo leggerò

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  2. Avatar luigi gavazzi

    Grazie a lei Paola; io trovo il racconto davvero splendido, nel ritmo, nel punto di vista, nella scelta drammatica. Magari ci potrebbe dire qui cosa ne pensa, dopo la lettura. A presto

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