L’importanza di riconoscere – e possibilmente correggere – una delle violazioni più gravi delle regole di rispetto e democrazia delle discussioni. Violazioni dietro le quali si nasconde spesso una vera ‘ingiustizia epistemica’
Davvero sappiamo ascoltare chi ci parla?
Ammettiamo facilmente che ascoltare sia la premessa di ogni relazione di dialogo. E che sia fra le azioni indispensabili per il riconoscimento reciproco fra interlocutori.
Perciò ammettiamo anche che l’ascolto sia una delle attività decisive per il funzionamento delle discussioni nei gruppi di lettura. Ma siamo anche nelle condizioni di dire che in questo contesto l’ascolto venga praticato sempre?
Basta prestare attenzione alle conversazioni nella vita quotidiana, sui luoghi di lavoro, o anche in momenti drammatici e di crisi nelle relazioni affettive per notare come l’ascolto sia una pratica contrastata, che non può mai essere data per scontata e sicura. Ovviamente ciò vale anche per le discussioni nei gruppi di lettura. Qui le violazioni delle regole dell’ascolto vengono notate facilmente, sono sotto i riflettori, evidenti per tutti i presenti. Tuttavia spesso, per non generare tensioni, tali violazioni dell’ascolto reciproco non vengono evidenziate e descritte dagli interessati, pur producendo fastidio e irritazione nelle vittime, in chi subisce la piccola grande umiliazione di non essere ascoltato; e imbarazzo in chi assiste.
È del resto ovvio che questa violazione della regola dell’ascolto, uno fra i principi sui quali si reggono le conversazioni, se si prolunga e si ripete mette a rischio la comunità, specie se le vittime delle violazioni sono sempre le stesse.
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In quest’ultimo caso sarà complicato attribuire la mancanza di ascolto alla distrazione, alla stanchezza, all’eccessiva attenzione a quel che si intende dire quando verrà il proprio turno, all’egocentrismo. Perché dietro la mancanza di ascolto che colpisce sempre le stesse persone c’è una sostanziale mancanza di rispetto e riconoscimento in quanto partner di una discussione. C’è una strisciante volontà di umiliare ed escludere.
C’è probabilmente anche una qualche forma di ‘ingiustizia epistemica’, quell’atteggiamento che considera poco credibile o di scarso valore e interesse ciò che viene detto da una persona a causa di pregiudizi legati alla sua identità sociale, culturale, politica, religiosa, di genere, di etnia o anche di istruzione.
È importante che i partecipanti e soprattutto chi coordina gruppi di lettura sappiano cogliere, osservare, capire affermazioni, comportamenti, attitudini, posture che rivelano la ripetizione sistematica di tale violazione della regola dell’ascolto.
Sarà poi necessario mettere a punto le azioni per ribaltare il tavolo, cambiare la situazione, favorire il superamento di tale condizione, prima che le ferite diventino gravi.
Per esempio, sappiamo che si possono provare alcune strategie per contrastare e rimediare all’ingiustizia epistemica, sia agendo su chi la esercita sia favorendo le azioni di rimedio di chi la subisce.
Un tema sul quale cercherò di tornare nei prossimi giorni.
Sull’ingiustizia epistemica:
Il lato epistemico delle ingiustizie, Kabul Magazine
Epistemic Injustice, 1000-Word Philosophy
L’immagine è un particolare di Kazimir Malevich, Sportivi, 1931, Wikiart
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