La voce dei lettori

Henri Matisse, Conversation, 1909-1912, Wikiart

Un grande scrittore come Martin Amis dice cose sui lettori che forse non sa; per i lettori è invece importante decidere come farsi sentire.

A volte temo sia una specie di fissazione, un po’ ossessiva addirittura: queste attenzione insistita per ascoltare quel che vorrebbero/potrebbero dire (e dicono a volte) i lettori. Per sapere e capire cosa pensano e soprattutto cosa intendono fare  con le loro letture. È tornata a galla e ben visibile domenica, quando “Robinson” sabato 14 novembre ha pubblicato la bella intervista che Salman Rushdie ha fatto a Martin Amis.

Certo, grandi scrittori, anche se ogni tanto suonano un po’ petulanti, ma glielo concediamo. Tuttavia mi son trovato sorpreso da una banana scivolosa finita fra i miei piedi quando Amis dice all’amico: 

“Di sicuro mi sento parte di una generazione che ha visto un cambiamento piuttosto radicale nel modo in cui vengono scritti e nel modo in cui vengono letti i romanzi. Non puoi più aspettarti che il lettore faccia ipotesi, deduca, provi a indovinare. Per adattarsi, gli scrittori smetteranno di insinuare, di suggerire, di stuzzicare. Ora devono dichiarare”.

In modo ingenuo, probabilmente, mi è venuto da dire: Martin, ma come diavolo fai a saperlo?

Chi ti ha detto che i lettori non facciano più ipotesi, non deducano, non provino a indovinare?

Quando è stata l’ultima volta che hai chiesto a dei lettori cosa si aspettano quando leggono i tuoi libri e quelli di Salman, e di tutti gli altri? Quando hai ascoltato la voce di qualche lettore che non fosse un tuo amico o un critico o un marketing manager?

Sì insomma, sono scivolato sulla banana. E mi sono seduto a farmi delle domande e altre ancora. E ancora non mi sono ripreso da un certo fastidio; nemmeno quando martedì 17 novembre su “Repubblica” anche Stefano Bartezzaghi si è fatto alcune domande proprio relative a quell’affermazione di Amis, e lui, Bartezzaghi, si è anche dato un paio di risposte (su domande e risposte di S.B. magari torno domani).

Il punto per me è capire quanto sia inevitabile il silenzio dei lettori e il vociare di alto livello di alcuni scrittori e di livello medio e basso di molti addetti ai lavori, tutti sempre a scrutare i lettori, a parlare al posto loro, a dire cosa sia meglio e cosa peggio per loro.

I lettori agiscono continuamente usando le parole che leggono e quelle che dicono e scrivono attorno alle loro letture, possibile che non trovino il modo di farle ascoltare queste parole, di farle sentire. 

O per meglio dire, dicano la loro solo comprando alcuni libri e altri no, o prendendo nelle biblioteche alcuni scrittori e dimenticandone altri, o al massimo rispondendo a qualche sondaggio sulla lettura o a qualche indagine di mercato commissionata dagli editori? O, ancora, elencando su un social i libri letti e dicendo che alcune sono state letture gradite e altre no? Tutto qui?

Ci devo pensare (ammetto che rischi di sembrare demagogico, ma io vorrei che si sentissero le voci non voglio dire che tutte le voci siano belle voci).

Abbracci

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