La terrificante carneficina, il contatto fisico e visivo con i cadaveri nei campi di battaglia e nelle trincee, i corpi distrutti, i reduci feriti, mutilati, annichiliti diventarono spettri di creatività disperata per una generazione di cineasti, scrittori e artisti.
Novembre 2018: ecco il centesimo anniversario della fine della Grande Guerra. Quattro anni che hanno trasportato l’Europa dal XIX al XX secolo.

La fine del conflitto – armistizi: 11 novembre sul fronte occidentale, 4 novembre su quello italiano – aprì la storia dei diversi dopoguerra, che prepararono i fascismi.
Il ricordo quotidiano dell’orrore della guerra cambiò per sempre anche l’immaginario di chi ne fu coinvolto direttamente – i soldati che tornarono dal fronte dopo aver trascorso mesi e mesi nelle trincee a contatto quotidiano con la morte e con gli uomini diventati cadaveri, e il personale che lavorò negli ospedali sui corpi martoriati – ma anche di chi vide poi, a casa, i corpi mutilati e sfigurati dei sopravvissuti alle ferite e ai gas.
Ora un libro di uno storico delle culture popolari, W. Scott Poole, Wasteland: The Great War and The Origins Of Modern Horror, (Counterpoint Press), ci racconta come la guerra provocò uno scarto nella letteratura e nel cinema introducendo, il genere “horror” nella sua versione contemporanea, superando il romanzo “gotico”.
“Come un incantesimo finito male”, scrive Poole, “la Grande Guerra ha creato un mondo nuovo, una specie di realtà alternativa, diversa da quella che la maggior parte delle persone prima del 1914 si aspettava di vivere. Una dimensione oscura, nella quale i film dell’orrore, le storie e l’arte divennero la guida alla nuova normalità più che un intrattenimento. I mostri uscirono dall’abisso”.
Poole cita opportunamente Walter Benjamin, che nel celeberrimo saggio su Leskov (“Il Narratore. Considerazione sull’Opera di Nicola Leskov”, in Angelus Novus) diceva che dalla Grande Guerra la gente tornò “dal fronte ammutolita, non più ricca bensì più povera di esperienza comunicabile”.
E aggiungeva: “Ciò che poi, dieci anni dopo, si sarebbe riversato nella fiumana dei libri di guerra, era stato tutto fuorché esperienza passata di bocca in bocca. E ciò non stupisce. Poiché mai esperienze furono più radicalmente smentite di quelle strategiche dalla guerra di posizione, di quelle economiche dall’inflazione, di quelle fisiche dalla guerra dei materiali, di quelle morali dai detentori del potere. Una generazione che era ancora andata a scuola col tram a cavalli, si trovava, sotto il cielo aperto, in un paesaggio in cui nulla era rimasto immutato fuorché le nuvole, e sotto di esse, in un campo magnetico di correnti ed esplosioni micidiali, il minuto e fragile corpo dell’uomo”.
Scrive ancora Poole: “Questi corpi vulnerabili – milioni dei quali sarebbero stati trasformati in cadaveri dalla prima macchina assassina completamente meccanizzata della storia, che chiamiamo Prima guerra mondiale – tormentano ogni decennio del ventesimo secolo. I loro occhi, pieni di shock e, subito dopo, di nulla, divennero spettri di creatività disperata per una generazione di cineasti, scrittori, e artisti, molti dei quali essi stessi con i corpi e la psiche devastati dalla guerra. Tutta l’incertezza e la paura che la cultura popolare hanno sempre associato agli automi, gli effetti sconcertanti di uno specchio, le ombre, le marionette sembrarono improvvisamente diventati realtà storica nei milioni di morti, di altri milioni di invalidi permanenti e sfigurati, nei corpi che tornarono a casa in marcia come gusci vuoti, nella persona che la famiglia e gli amici avevano conosciuta prima del 1914 e che ora, pur viva, sembrava altrove”.
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