Un libro per tre giorni di libertà

“La lettura è uno straordinario antidoto al disagio e favorisce la consapevolezza e il riscatto sociale e personale”. Queste parole sono di Mario Caligiuri, assessore alla cultura di Reggio Calabria. E le ha pronunciate per spiegare il provvedimento da lui proposto di far leggere libri in prigione ai detenuti garantendo loro tre giorni di sconto di pena per ogni testo letto fino a un massimo di 48 giorni ogni anno: ovvero 16 libri in 12 mesi.

Non voglio ovviamente entrare nel merito della proposta (non è questo il luogo), ma quando ne ho sentito parlare ho pensato al libro come strumento espiativo. Come strumento con cui redimersi, con cui riscattare la propria posizione sociale. Come un mezzo con cui ritrovare la propria libertà. Di azione, di pensiero, di vita.

In effetti è vero: il libro e la lettura sono due strumenti che aiutano a collocarsi nel tempo e nello spazio. A farsi domande. A sviluppare un senso critico (non necessariamente a essere saggi, ma insomma…). Non è un caso che le peggiori dittature abbiano scelto di negarne alcuni, di bruciarne altri, di vietarne altri ancora. Scegliamo di leggere. Scegliamo di leggere questo o quell’altro libro, racconto, saggio. Siamo liberi in quanto decidiamo di farlo e ne decidiamo le modalità. Sapere, conoscere, è uno strumento di forza per affrontare la vita sociale. E il libro aiuta, eccome. Anzi, mi sento di dire che è un mezzo importantissimo per la vita di molti.

E allora ho guardato con simpatia a questa proposta dell’assessore calabrese. Ho pensato che in un mondo civile proporre con un libro di recuperare tre giorni di libertà possa significare forse aiutare pian piano a recuperare consapevolezza del sé. E a potersi nuovamente mettere in gioco. Liberi, di nuovo. Ma (forse) con qualche domanda in più (e chissà… con qualche risposta) sul senso da dare alla vita.

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