Verso la fine dell’anno scorso (il 24 dicembre, regalo di natale), nel bel mezzo di un decreto legge con un titolo lungo un chilometro (Interventi urgenti di avvio del piano «Destinazione Italia», per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per la riduzione dei premi RC-auto, per l’internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015…) era apparso un articolo, il nono – Misure per favorire la diffusione della lettura – che aveva destato qualche speranza, o, almeno, qualche curiosità. Vuoi vedere che tra RC-auto, Expo e bollette del gas, qualcuno si è ricordato della lettura e dei lettori? Magari cercando di non confondere troppo le idee tra lettura dei contatori (18 occorrenze) e lettura dei libri (2 occorrenze)?
L’articolo prevedeva la possibilità di detrarre dalla dichiarazione dei redditi, in misura peraltro assai modesta, le spese per acquisto di libri. Una rivendicazione “storica” dei lettori, se si può usare questo termine per delle persone che di solito non rivendicano un bel nulla e non hanno, per fortuna, alcuna rappresentanza o titolarità sindacale, associativa, nessuna voce ufficiale, nessun santo in paradiso e poche frecce al loro arco.
Ma, insomma, se ne parlava già ai tempi della Carta dei diritti del lettore dell’Arcilettore nel 2002. Anche nella Carta dei diritti della lettura (2011) di Donnedicarta, la proposta è quasi un corollario implicito nell’art.6. Quindi bene, o quasi bene, o almeno un apprezzamento delle buone intenzioni, perché in realtà giuste critiche erano subito fioccate: il decreto omnibus, il solito milleproroghe e mille pezze, non aveva alcuna vision, alcun intento riformatore, alcuna volontà di intervenire nella crisi e nella mutazione che travagliano il mondo dell’editoria e la filiera del libro. In particolare erano stati oggetto di critica l’esclusione degli ebook (già gravati con IVA al 22% in quanto considerati software e non libri), e il vincolo del 50% per libri scolastici.
Bene, cosa è successo? Come spesso accade in Italia, non solo alcune norme sui libri e sull’editoria vengono sgangheratamente infilate in decreti che non c’entrano nulla, ma sono poi vittima di imboscate lobbistiche a colpi di emendamenti. Infatti il deputato Marco Causi, a nome del gruppo PD della Commissione Finanze della Camera, ha presentato un emendamento, già approvato senza alcun voto contrario in commissione, che restringe la possibilità di detrazione fiscale ai soli esercizi commerciali, ai soli libri scolastici, e alle sole famiglie con ISEE inferiore a € 25.000 e per un importo massimo di euro 200 (invece di 2.000) * attraverso la corresponsione di un buono sconto agli studenti delle superiori, per non meglio precisati “libri di lettura”. In compenso cade la discriminante contro gli ebook ma soltanto perché sarebbe superflua: le detrazioni riguarderanno infatti solo gli ebook “venduti in libreria” (?) e non si vede come le librerie online potranno beneficiare del provvedimento. In sostanza l’emendamento trasforma un modesto, parziale e tardivo riconoscimento dei diritti dei lettori in un voucher di dotescuola, che va benissimo, a parte il valore ridicolo, stimato in 19 euro a testa, ma è un’altra cosa.
Quali sono le motivazioni di questo voltafaccia e di questo ennesimo schiaffo ai lettori (soprattutto ai lettori forti e ai lettori per passione e piacere)? Secondo quanto dice il deputato Causi, economista, il decreto sarebbe stato di difficile applicazione e avrebbe richiesto risorse più ingenti di quelle stanziate. Le misure correttive, comunque, sembrano ancora più inapplicabili e i librai, giustamente, hanno già protestato contro il pasticciaccio. E poi la detraibilità dei farmaci, per esempio, non sembra così ingestibile e i conti che fa il deputato si basano su 29 milioni di potenziali interessati, ossia il 75% dei contribuenti italiani (!), mentre si sa che i lettori che spenderebbero almeno €1.000-2.000 di libri all’anno, sono solo una parte di quei lettori forti (>12 libri/anno) che rappresentano soltanto il 6,3% della popolazione. Tanto per dire qualcosa di eretico ai signori che pensano che “con la cultura non si mangia” (evidentemente sono molto di più di quelli che lo affermano apertamente), si poteva pensare magari ad aumentare le risorse… o almeno mantenerle e suddividerle tra tutti i lettori.Tanto il decreto aveva un valore soprattutto simbolico, ed ora è questo valore ad aver cambiato di segno. Il prezzo dei libri non è certamente l’unico e principale ostacolo alla diffusione della lettura, anche se rappresenta senz’altro un problema e una sofferenza nelle scelte di approvvigionamento e nella dieta di lettura di molte persone.
Un altro risultato ottenuto dagli autori dell’emendamento contro la lettura è quello di aver distolto, con un tratto di penna, l’attenzione dai temi importanti di discussione posti dal decreto originario, per esempio quelli che poneva Maria Teresa Carbone in un post sul blog di Monteverdelegge: le detrazioni sui libri favoriscono la lettura? E perché le biblioteche (pubbliche e scolastiche) sono ancora una volta escluse da ogni ruolo, oltre che da ogni sostegno, nella promozione della lettura?
I sostenitori dell’emendamento dicono che i conti erano sbagliati e non c’era altro da fare pur di salvare il decreto e i pochi fondi stanziati. Ragioni di buon senso, dicono, quel pessimo buon senso che spinge a scegliere il cosiddetto meno peggio, che poi è la somma del “meno” e del “peggio”. Di un decreto così, scusate, facevamo a meno senza troppi rimpianti. I cinquanta milioni (cioè lo 0,38% della spesa destinata all’acquisto dei bombardieri F35, lo 0,01% dell’evasione fiscale) destinateli pure ad altro, o risparmiateli. E risparmiateci anche la beffa. Soprattutto, per favore, cambiate almeno il titolo dell’articolo 9. Da Misure per favorire la diffusione della lettura a Voucher di 19 euro per gli studenti delle superiori. Tralasciando il disastro contabile, un minimo di onestà linguistica ce la dovete. Ma non ci facciamo conto più di tanto.
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[*] Nota. I limiti di reddito, il tetto dei 200 euro e il vincolo ai libri scolastici, presenti in una prima versione dell’emendamento, sono stati eliminati in quella definitiva.
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