L’idea di essere un cattivo lettore mi passa per la testa spesso.
Soprattutto per via di quel che ricordo dei libri che leggo. O meglio, di quello che non ricordo, almeno di una parte dei libri letti.

È una questione che ogni tanto ritorna nel flusso dei pensieri su questo blog. Riemerge come domanda o come sollecitazione, in arrivo anche dalle esperienze di altri lettori.
Così mi son trovato gradevolmente in buona compagnia quando qualche giorno fa ho trovato sul New Yorker un articolo di Ian Croucher dedicato a questa piccola stigma, abbastanza diffusa fra noi lettori, che spesso nascondiamo con bluff o menzogne.
L’ultima volta che ne ho parlato mi sono rifugiato (consolazione) nel “fantasma di memoria“, l’espressione usata da Maryanne Wolf – esperta di sviluppo cognitivo – per spiegare come funziona la nostra memoria – debole – quando leggiamo e siamo convinti di dimenticare:
C’è una notevole differenza continua Wolf “fra ricordare nell’immediato i fatti, e la capacità di richiamare una gestalt di conoscenza. Non riusciamo a recuperare elementi specifici, ma, per adattare una frase di William James, è come se avessimo un fantasma di memoria. Le informazioni che prendiamo da un libro sono come conservate in una rete. Abbiamo una straordinaria capacità di memorizzare, di archiviare, molta di più di quella di cui ci rendiamo conto. È informazione che lavora su di noi, dentro di noi, anche quando non ci stiamo pensando.
Insomma, una bella consolazione.
Croucher è meno consolatorio. Si limita a osservare un processo che anche a me capita spesso:
– ricordare le circostanze di lettura più degli eventi e i personaggi del libro.
Aggiungerei:
– ricordare le sensazioni piacevoli o spiacevoli associandole in maniera imprecisa a singole scene del romanzo o del racconto;
– il tono emotivo generale suscitato dalla lettura è determinato dalla condizione emotiva del periodo nel quale la lettura è avvenuta; quindi è importante almeno quanto la qualità della lettura stessa (interpretazione un po’ pop, in effetti: come succedeva con le canzoni d’estate che lasciavano il segno a seconda di come e dove passavi le vacanze)
– ricordare le parole usate per parlare di quel libro con altri (per esempio in un Gdl ma anche a una macchinetta del caffé o in auto con un famigliare) più delle parole del libro;
– le letture fatte a proposito di quel libro si ricordano più (o quanto) la lettura stessa del libro.
Per adesso mi fermo. Tanto ci si ritorna.
Ciao a tutti (voi che ne pensate?)
Leggi anche:
> Leggere e dimenticre (2): Kundera, il romanzo contro il tempo presente perduto
> Cosa ricordiamo dei libri che abbiamo letto?
> La lettura è davvero un’esperienza di vita?
> Kundera, Il Sipario, ri-leggere. Con attenzione
> Ian Croucher, The Curse of Reading and Forgetting
Rispondi