Non ho il coraggio di proseguire. Così mi ha detto un’anima grande tenendo tra le mani la sua copia dell’ultimo romanzo di Javier Marías, Gli innamoramenti (Einaudi). In effetti un po’ la capisco. Aprirlo (e riuscire ad arrivare alla fine) è un po’ come sedersi e poi uscire da una seduta di analisi.
Il lettore è il paziente. Marías uno dei migliori analisti, in grado di sbattergli in faccia il suo flusso di pensiero. Di farglielo toccare con mano. Di trascinarlo nelle sue vertigini, di presentarlo parola dopo parola. Di lasciarlo fluttuare libero nelle pagine che riescono a ospitare riflessioni che (forse) nessuno di noi avrebbe mai il coraggio di ammettere di aver fatto (magari anche con se stesso).
Per me è stata una bellissima ma difficile lettura. Pagine che rimangono dentro e di cui è difficile liberarsi.
La storia è semplice e soprattutto assolutamente secondaria: marito e moglie, definiti come la “coppia perfetta”, Luisa e Miguel, ogni mattina fanno colazione nello stesso bar sotto gli occhi di una giovane ragazza (Maria, la voce che guida il romanzo e che sarà etichettata come la “giovane prudente”) seduta anche lei a un tavolo vicino che ammira l’aurea di passione e di amore che circonda i due.
Ho imparato leggendo gli articoli di questo blog e ho verificato poi da sola, leggendo Tutte le anime (il primo romanzo della Trilogia sentimentale di Javier Marías) che il pensiero dei personaggi è il vero tema dei suoi romanzi. Le loro anime, i loro cuori. Anche ne Gli Innamoramenti è così (tornano i riferimenti a Shakespeare, torna il personaggio di Luisa)
Qui l’autore associa in continuazione amore, innamoramento, distruzione e morte.
Distingue nettamente i primi due sottolineando come
l’abitudine può sostituire l’amore, non l’innamoramento… quel che è molto raro è provare una debolezza, una vera debolezza per qualcuno che comunque la produca in noi… che ci renda deboli.. che ci impedisca di esser oggettivi e ci disarmi in eterno…
La persone di cui ci si innamora
non è che piacciano nel senso più nobile del termine, è che fanno piacere… e quella maniera incondizionata ha appena a che vedere con la ragione, tantomeno con le cause…. L’effetto è enorme e non vi sono cause o se vi sono non sono formulabili…
Marías è impietoso: non fa altro che raggiungere, allontanarsi per un momento e poi ritornare sul legame tra vivi, innamorati, amanti e morte, intesa nel senso più ampio dell’abbandono forzoso o forzato di cui siamo vittime inermi (come la vedova Luisa) o di cui dobbiamo renderci protagonisti (come accade a Maria), nel momento in cui l’uscita dall’innamoramento non è altro che
una lotta contro la memoria che si maschera da rifugio
Con la lucida, terribile, struggente consapevolezza però che
Tutto si attenua ma niente sparisce né se ne va mai del tutto…
Dunque l’amore quando si scontra con la morte rischia di restare intrappolato nella grande riserva della memoria che impedisce di allontanare una realtà vissuta e concedere la possibilità di un futuro. E allora la lotta con noi stessi e la passione diventa esacerbante, lacerante.
Naturale, sembra dirci Marías, pensare così alle vie di uscita, anche alle più folli, che si intrecciano con altra morte e altra distruzione arrivando a pensare cose di cui ci si vorrebbe forse vergognare ma che magari in un momento di debolezza hanno riempito, se non la volontà, il bacino delle possibilità.
uno non desidera in via di principio la morte di quanti gli sono così vicini che quasi sono parte integrante della sua vita ma a volte ci sorprendiamo a raffiguarci che cosa succederebbe se qualcuno di loro sparisse…
Marías mette nelle parole di Maria l’umana debolezza di tutti noi. E ce la sbatte in faccia. Senza giudizio.
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