Perché è meglio non sottovalutare il rapporto fisico con i libri e perché, anche se dobbiamo abituarci agli e-book, è meglio pensare di farlo con molta tolleranza per chi invece fatica a farlo, e soprattutto senza supponenza d’avanguardisti; e, d’altra parte, chi è diffidente davanti al libro digitale dovrebbe almeno mettere da parte un po’ di snobismo e provare.

In una delle ultime riunioni del gruppo di lettura di Cologno Monzese mi sono presentato per la prima volta con il libro letto che stava dentro il Kindle invece che in volume. Quell’incontro mi ha lasciato con la sgradevole sensazione che in questi mesi avessi sottovalutato le privazioni fisiche che la lettura dell’e-book infligge.
Il libro in lettura al Gdl era: Giorgio Cosmacini, Compassione (Il Mulino); l’ho letto in e-book perché era venduto a un buon prezzo rispetto alla copia stampata e soprattutto mi serviva in fretta, visto che avevo deciso tardi di partecipare alla lettura condivisa dal Gdl: così una sera, pochi giorni prima della riunione, in pochi secondi mi sono trovato con il libro fra le mani (espressione che in questo caso era solo una metafora visto che il file è finito, invisibile, nella memoria del Kindle).
Qui però, per una volta, non importano le impressioni di lettura condivise nel gruppo, ma l’impressione collaterale della lettura dell’e-book. O meglio, l’impressione suscitata dall’essere lì con un Kindle e discutere con altri lettori di un libro che io ho letto sul Kindle e gli altri in volume.
Uso il Kindle – e un Kobo – da più di un anno, con una certa soddisfazione anche se con poco entusiasmo. Diciamo con profitto funzionale: è comodo, leggero, spesso conveniente (perché gli e-book a volte hanno dei prezzi “buoni”, diciamo meno della metà di quello del libro stampato, per il mio giudizio). Oltre al Kindle continuo a leggere libri stampati; diciamo che libri ed e-book convivono sul mio comodino e si dividono il mio tempo di lettura più o meno con un 70% (libri) – 30% (e-book).
Parlando del Kindle ho quasi sempre messo tra parentesi la questione “fisica”. Mi sembrava imprecisa e vaga come critica, mi pareva un po’ nostalgica, immotivatamente nostalgica, proprio perché vaga. Pensavo ad altro. Poi però quella riunione del Gdl mi ha portato sotto il naso, perfettamente a fuoco, proprio la questione fisica dell’uso dell’e-book: il diverso corpo a corpo con il libro, anzi, forse, l’impossibile corpo a corpo con il libro, perché l’e-book ci impedisce (o forse dovrei dire “ostacola”) il corpo a corpo. Insomma:
– i post-it colorati alle pagine giudicate decisive
– le note a matita a margine, in corrispondenza dei post-it (sì certo nell’e-book si prendono le “note”, ma sono ben altro);
– il libro che passa dalla mano destra alla sinistra come ausilio del gesticolare quando si parla o si ascolta gli altri;
– il balzo da un una pagina all’altra, grazie al ricordo visivo di dove stava messo un certo paragrafo, solo per citare qualche sensazione che l’e-book nega.
E che poi mi ha portato a ricordare altri mancati corpo a corpo, impediti dall’e-book: per esempio
– il senso di accumulo delle pagine lette,
– e quello di attesa per il restante volume di pagine da leggere,
– e ancora la mancanza delle pagine recto-verso;
– o ancora la possibilità di piegare le pagine agli angoli,
– di sfogliare le pagine vedendone più di una alla volta. Perché l’e-book ha sempre solo una pagina, lo schermo; si scorre ma è sempre “la stessa”.
Sulle questioni relative alla lettura intrecciata al rapporto fisico con il libro, uno dei riferimenti irrinunciabili è ovviamente Alberto Manguel, sia in Una storia della lettura, sia, per esempio, in uno dei saggi inclusi in Al tavolo del cappellaio matto (Archinto), quel “Breve storia di una pagina”, nel quale oltre che occuparsi, verso la fine, proprio degli e-book (ben diversi da quelli attuali, per la verità, visto che il saggio è stato scritto qualche anno fa: la raccolta è stata pubblicata nel 2008) traccia un lungo percorso di molte questioni relative alle pagine e al modo con il quale il lettore interagisce con esse. Si leggano per esempio le righe sulle annotazioni che Montaigne lasciava sui margini dei libri, e che ci dicono tanto, davvero tanto di che uomo, che lettore e che pensatore fosse; oppure quando Manguel ci ricorda come secondo Jorge Luis Borges,
l’infinita biblioteca di Babele che immaginava contenere tutti i libri del’universo […], si potrebbe ridurre a non più di un libro. In una nota a piè di pagina del racconto, Borges suggerisce che l’immensa biblioteca è inutile: un unico volume sarebbe sufficiente, se quel volume fosse costituito di un numero infinito di fogli infinitamente sottili. Maneggiare questo volume sarebbe senza dubbio penosamente scomodo: “Ogni foglio apparente si sdoppierebbe in altri analoghi; l’inconcepibile foglio centrale non avrebbe rovescio”. (“La Biblioteca di Babele” in Finzioni, Adelphi).
Senza esagerare le sue parole un tantino allarmate, leggiamo cosa dice Manguel, verso la fine del saggio, quando affronta la natura dell’e-book:
In effetti il libro immaginario di Borges trova la propria incarnazione nelle pagine non proprio infinite dell’e-book, un tempo tanto elogiato. La pagina dell’e-book supera la natura di incubo del libro di Borges, visto che nessuna delle sue pagine ha un “rovescio”. Poiché al “volume” si può sempre aggiungere testo, l’e-book non ha un punto centrale. La pagina dell’e-book è la cornice applicata dal lettore a ciò che essenzialmente rappresenta il testo senza confini di Borges. Come ogni altra creazione letteraria, l’e-book era stato previsto dalla Biblioteca di Borges.
Insomma, possiamo pensarla diversamente sull’e-book, possiamo pensare in vari modi su come usarlo, ma è giusto prendere con un po’ di attenzione le diffidenze: in fondo l’umanità ha percorso cinque secoli e mezzo con i libri stampati, una “tecnologia” ancora perfettamente efficiente.
Oliver Sacks ha recentemente scritto – tradotto da la Repubblica il 27 dicembre 2012 – a proposito delle sue difficoltà di lettura, causate dalla vista debole; il suo però è un ragionamento-grido d’amore per il libro, che va oltre il suo problema contingente, e dovrebbe aiutarci tutti a capire il nostro rapporto con i libri, gli e-book e la lettura; a ragionare senza pregiudizi e senza facili intolleranze per chi è in difficoltà (o è solo diffidente) davanti ai libri digitali, e d’altra parte, a vedere con simpatia e senza snobismi fuori luogo chi sta cercando di abituarsi agli e-book, continuando a leggere anche i libri).
Sacks mette ben in evidenza infatti quanto sia importante il rapporto fisico con il libro, e lo fa occupandosi di alcuni aspetti decisivi, anche se potremmo sottolinearne molti altri di questi aspetti del corpo a corpo con il libro.
Scrive Sacks:
Ma io non voglio un Kindle, o un Nook, o un iPad, tutta roba che potrebbe cadermi in bagno o rompersi, e ha comandi che per vederli mi servirebbe la lente di ingrandimento. Voglio un libro vero, fatto di carta stampata: un libro che abbia un peso, che odori di libro, come sono stati negli ultimi cinque secoli e mezzo. Voglio un libro che possa infilarmi in tasca o tenere insieme ai suoi confratelli sugli scaffali della mia libreria, riscoprendolo per caso perché mi ci cade l’occhio sopra. […]
Sono un lettore incallito da quando ho memoria: spesso conservo nella mia mente quasi autonomamente numeri di pagina o l’aspetto dei capoversi e delle pagine, e sono in grado di trovare all’istante un certo passaggio in quasi tutti i miei libri. Io voglio libri che mi appartengano, libri la cui impaginazione intima mi diventi cara e familiare. Il mio cervello è tarato sulla lettura e quello che mi serve sono sicuramente i libri a grandi caratteri. […]
Leggere è uno sviluppo relativamente recente, che risale forse a cinquemila anni fa ed è regolato da una minuscola area della corteccia visiva del cervello. Quella che oggi chiamiamo “area per la forma visiva delle parole” fa parte di una regione corticale che si è evoluta per riconoscere forme elementari in natura, ma che può essere riadattata al riconoscimento di lettere o parole. Questa forma elementare, o di riconoscimento di lettere, è solo il primo passo.
Da questa aea per la forma visiva delle parole bisogna creare connessioni bidirezionali a molte altre parti del cervello (tra cui quelle che sovrintendono alla grammatica, ai ricordi, alle associazioni e alle sensazioni) perché le lettere e le parole acquisiscano i loro significati specifici per noi. Ognuno di noi forma percorsi neurali unici associati alla lettura, e ognuno di noi apporta all’atto del leggere una combinazione unica non solo di ricordi ed esperienza, ma anche di modalità sensoriali. Alcune persone magari “sentono” i suoni delle parole mentre leggono (a me succede, ma solo quando leggo per piacere, non quando leggo per informazione); altri magari le visualizzano, consapevolmente o meno. Qualcuno può avere una percezione acuta dei ritmi acustici o dell’enfasi di una frase; altri sono più sensibili all’aspetto o alla forma.
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