
La tv è il media del mondo in diretta. La fotografia – insieme, ovviamente, alla parola scritta – è ancora il media del racconto, della narrazione. (Digressione: internet è quasi tutto narrazione dunque; anche Twitter offre il meglio di sé quando narra, non quando scimmiotta la tv delle “dirette”, almeno mi pare così).
Ma la fotografia è anche e soprattutto è il media della riflessione, indotta forse dall‘istante dilatato, infinito, che sta dentro ogni grande fotografia (ma anche in molte piccole fotografie) e che ci invita a ragionare, a considerare l’incertezza, l’ambivalenza, a formulare e ri-formulare le domande, a non accontentarsi mai di una spiegazione superficiale, di una storia troppo lineare, di un racconto pieno di certezze.
Il New York Times ha chiesto quest’anno allo scrittore Colum MacCann, l’autore di Let The Great World Spin (Questo bacio vada al mondo intero, Rizzoli) di commentare la serie di “foto dell’anno” selezionate dalla redazione.
Fra tutte le foto indicate dal Nyt e da tutte le decine di testate in tutto il mondo, ho scelto questa di Andrea Bruce, scattata proprio per il giornale di New York.
Ritrae il cadavere di Ahmed Farhan (30 anni), mentre viene lavato prima della sepoltura. L’uomo venne ucciso il 15 marzo 2011 a Sitra nel Bahrain dalle Forze di sicurezza. Mi è sembrata così intensa e ricca di spunti di riflessione, sulla Primavera araba, sulle rivolte riuscite e quelle represse brutalmente, su quel che l’occidente ha fatto e non ha fatto per favorire, aiutare e capire questo grande movimento di democrazia. Ma come tutte le grandi fotografie è anche uno spunto di riflessione sulla nostra condizione davanti agli altri, sui dilemmi che ci guardano.
Andrea Bruce è anche autrice di questo recente reportage sul ritiro delle truppe americane dall’Iraq.
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