
Well love they tell me is a fragile thing
It’s hard to fly on broken wings
I lost my ticket to the promised land
Little bird of heaven right here in my hand
I libri di Joyce Carol Oates non sono mai libri facili, le storie sono spesso crude e i personaggi complessi. Quest’ultimo *Uccellino del paradiso*, pubblicato da Mondadori, non fa eccezione.
Al centro della vicenda la morte di Zoe Kruller, cantante di bluegrass, bellissima donna, trovata uccisa dal figlio adolescente Aaron, dopo che ha abbandonato la famiglia per dedicarsi alla musica e cercare un po’ di libertà.
Dell’omicidio vengono accusati due uomini: Delray Kruller, marito di Zoe e padre di Aaron, meccanico di origini indiane _indiani d’America, i Seneca_, rinomato per la sua violenza e per il grande amore mai sopito per la moglie; ed Eddy Diehl, falegname, amante della donna, uomo sposato e padre di due figli adolescenti, Ben e Krista.
I due uomini vengono fermati dalla polizia, e torchiati per molto tempo, alla ricerca di una verità che, però, non arriva. L’unica conseguenza è che la vita di entrambi viene sconvolta. E questo terremoto viene narrato nel romanzo da due voci: quella di Krista e quella di Aaron.
E qui esce il genio di Joyce Carol Oates: la sua capacità di immedesimarsi e farci immedesimare nella vita di personaggi diversi, capacità ancora più evidente quando i personaggi sono dei bambini o dei ragazzi _basta pensare a Skyler di *Sorella, mio unico amore*, a Norma Jean, piccola Marylin Monroe in *Blonde*, a Judd in *Una famiglia americana*, a Katya in *Una brava ragazza*.
Krista è ancora quasi una bambina all’inizio della narrazione, innamoratissima del padre, incapace di considerarlo colpevole, ma anche di qualsiasi giudizio. Spetta quindi al lettore farsi delle idee e interpretare i discorsi degli adulti riportati da Krista. La ragazzina cresce, è tormentata dalle vicende, dal ricordo di Zoe, dall’esistenza di Aaron, dai comportamenti sempre più folli del padre. Dall’altro lato, Aaron “Krull” Kruller, già adolescente, più cresciuto rispetto ai suoi coetanei, “mezzosangue”, emarginato, violento, chiuso, incapace di esprimersi se non con frasi concise e pensieri smozzicati.
JCO ci racconta le stesse vicende attraverso due occhi diversi, in un bellissimo gioco di narrazione, che si conclude poi anni dopo la vicenda, quando i due ragazzi sono ormai adulti, e, come nei migliori gialli, scoprono il colpevole dell’omicidio. Quando scopriamo la verità, comunque, non sentiamo quella sensazione di sollievo e di tranquillità che colpisce nei gialli tradizionali: non c’è consolazione nei mondi di Joyce Carol Oates.
*giuliaduepuntozero
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