Per non dimenticare: David Stannard, L’olocausto americano

E’ vero che il 27 gennaio, come giorno della memoria,  dovrebbe essere dedicato alla Shoah, ma, poiché dello sterminio degli ebrei se ne è sempre parlato, e se ne parlerà moltissimo  anche oggi, quest’anno vorrei rivolgere la mia attenzione ad altri genocidi, nella consapevolezza che, purtroppo,  ce ne sono tanti altri. Forse uno di cui  si è  sempre scritto poco è quello che  David Stannard, professore di Studi Americani alla Università delle Hawaii, chiama in un suo saggio L’olocausto americano.

Questo scritto fu molto dibattuto, quando fu pubblicato nel 1993, in occasione delle celebrazioni per  il quinto centenario della scoperta dell’America. Mentre da una parte si esaltava Colombo, “il portatore di Cristo”, come scopritore di un continente, dall’altra si vedeva questo evento come l’inizio  di un vero genocidio, che avrebbe portato nel tempo a cancellare il 95% della popolazione e con essa civiltà importanti e una gran varietà di  lingue, che oggi sono divenntate solo tre in tutto il continente americano.

Il saggio di quasi 500 pagine con ricca documentazione si articola in tre parti: una prima parte in cui  si ricostruiscono le culture native prima di Colombo; una seconda in cui si denunciano le conseguenze della conquista, facendo un processo a spagnoli, portoghesi, inglesi, statunitensi e ai 4 secoli di massacri dal 1494 fino a Wounded Knee (1890); una terza parte, intitolata “Sesso, razza e guerra santa” in cui si ricercano le ragioni di questo sterminio.

Stannard ricostruisce il quadro geopolitico e culturale di un territorio con una popolazione complessiva di 100-150 milioni di abitanti, superiore quindi a quella europea, che nel XV secolo era decimata da guerre, malattie, carestie. Come non ricordare splendide città come Tenochtititlan o Cuzco più grandi di Siviglia o Londra?  La sola valle del Messico con i suoi 20 milioni di abitanti era sei volte superiore alla popolazione dell’Inghilterra.  L’impero Maya ricopriva un’area di 2500 Kmq, l’impero Inca (oltre 2 milioni di Kmq e lungo quasi 9.000 Km ) era il più vasto del mondo: la sua superficie occupava un territorio pari alla distanza attuale tra New York e Los Angeles.

Quando poi si parla dello sterminio di 75-100000 milioni (il 25% della popolazione mondiale di allora secondo dati riportati anche da Tzvetan Todorov) si fa riferimento solo agli indigeni, senza tenere conto delle vittime importate, cioè della tratta dei negri  dal 1517, per cui si devono aggiungere altri 30-60 milioni di morti, a partire dal loro prelevamento nel continente africano.

Stannard sottolinea che la quasi totale distruzione dei nativi non fu né involontaria né inevitabile a partire dal genocidio di Hispaniola del 1494 in cui  in 20 anni si cancellarono gli 8 milioni di abitanti dell’isola.

Tanti i massacri documentati degli Amerindi  sono perpetrati in nome della  croce cristiana e della corona aragonese. E, al di là di tanta cinematografia holliwoodiana, i massacri dei pellirossa, bestie inumane senza Cristo, furono promossi o riconosciuti giusti da uomini come Jefferson o come Washington. Roosvelt stesso arrivò a dichiarare che lo sterminio degli indiani e l’espropriazione delle loro terre furono positivi e inevitabili.

Si possono ricordare tanti terribili massacri  come quello di Wounded Knee, di cui furono vittime i Sioux nel Sud Dakota, o quello della canzone di De André “Fiume Sand Creek” (1864 ). Le truppe  sotto bandiere di pace trucidarono vecchi, donne, bambini, neonati. Strapparono persino i genitali, per farne borse da tabacco o per appenderli tra i capelli.

Ma sarebbe comodo vedere in questi fatti gli ultimi momenti del genocidio, che in realtà continua in tempi a noi vicini: un rapporto del 1986 della Commissione per i diritti umani dell’Onu ha denunciato la scomparsa di 40000 persone e l’assassinio di 100000, solo  in Guatemala. Aggiungo io, basta leggere i libri di Rigoberta Menchù.

La terza parte del saggio di Stannard è la più particolare e discussa perché  identifica sostanzialmente nel cristianesimo la causa dell’olocausto americano.
Così  Piergiorgio Oddifreddi sintetizza questa parte che ho trovato piuttosto complessa:

Stannard identifica nel dogmatismo della rivelazione biblica, nel delirio della predilezione divina, nel razzismo della superiorità europea, nel fanatismo dell’evangelizzazione, nel disprezzo della natura e nell’orrore della sessualità le radici cristiane di un’ideologia che concepì e perseguì la conquista e lo sfruttamento e la devastazione dei “territori selvaggi” d’oltreoceano da un lato e la conversione forzata, la schiavizzazione e il massacro dei loro “impudichi abitanti“ dall’altro.

La furia omicida di colonizzatori cattolici o protestanti sarebbe la manifestazione di un fondamentalismo cristiano, ma anche della intrinseca peccaminosità del corpo umano: l’indigeno era  dunque il peccato da estirpare e sacrificare in olocausto a Dio.

Già Bartolomeo de Las Casas (Brevísima relación de la destrucción de las Indias 1542) raccontava di bambini strappati dalle braccia delle madri, di teste spaccate contro le rocce, di dati in pasto ai cani da guerra “Una volta impiccarono 13 indiani in onore di Cristo e dei suoi 12 apostoli” Si mozzavano le mani a chi non consegnava l’oro richiesto ogni tre mesi. Se non rivelavano dove erano nascosti i tesori gli indigeni venivano frustati, impiccati, affogati, squartati, sepolti vivi, bruciati, alle donne erano tagliati i seni o i testicoli agli uomini.

Padre Junípero Serra (1713-1784 ), un francescano, che è stato beatificato nel 1988, impiantò in California missioni che erano veri campi di concentramento per lo sfruttamento degli schiavi. Chi disobbediva veniva punito con  frustate, marchiato a fuoco, mutilato o ucciso. Se fuggivano dai campi delle missioni venivano inseguiti. L’aspettativa di vita nelle missioni era intorno ai dieci anni.

Dedico questo ricordo dell’olocausto americano ad Angelica, la mia cara amica messicana, conosciuta attraverso questo blog e con cui corrispondo da alcuni anni: come figlia di uno scrittore, esperto di culture native americane, potrebbe meglio di altri esprimere un parere più autorevole del mio sull’olocausto americano.

David Stannard, L’olocausto americano, La conquista del nuovo mondo 1993/2001, Bollati Boringhieri pp.445

Commenti

2 risposte a “Per non dimenticare: David Stannard, L’olocausto americano”

  1. Avatar Gabriella

    Bellissimo post, il cui tema è (almeno, per me) interessantissimo.
    Tema sul quale, detto tra parentesi, anch’io mi arrovello.
    E da tempo.
    Alcune risposte eppur le avrei, da proporre.
    Non in termini del “così è” ma in termini del “…e fosse così e cosà”.

    Insomma: gli stimoli di riflessione derivanti dal tuo post sono tantissimi, e la voglia di interloquire è tanta.

    Ma — e sono presuntuosamente sicurissima che capirai, cara hochitl2 —- che le ipotesi di risposta ai tuoi stimoli sono tante, e troppo pesanti per uno “spazio commenti”.

    Sono altrettanto sicurissima che concorderai con me che l’importante non è quanti commenti si raccattano, ma quanta riflessione (e, perché no? interrogativi) un post sentito e intelligente può generare.

    Ciao e ancora grazie per questo post.

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  2. Avatar giam

    …già…: sempre meglio ricordare, quantomeno, che quando si parla di “radici della nostra civiltà” sono da comprendervi anche queste.
    Un libro che mi piacque molto (anche se ha toni da romanzo di avventure…) è “L’Azteco” di Jennings, dove è ricostruita la fine del regno azteco in maniera vivida e storicamente documentata.
    In tempi molto più recenti in america si sono consumate altre tragedie. Nel nostro GdL abbiamo di recente letto (o riletto) “Furore” di Steinbeck. Sull’onda di questa lettura ho cercato di saperne un qualcosa in più sulle lotte sociali in U.S.A. A tale proposito consiglio la lettura di “Noi saremo tutto” di Evangelisti (autore che, di solito, non apprezzo) e di “L’autobiografia di Mamma Jones” di cui parlo in questo post: http://gruppo_lettura.blog.tiscali.it/2011/02/01/lautobiografia-di-mamma-jones/

    Ciao a tutti 🙂

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