
E’ da un po’ di tempo che non recensivo un libro di Joyce Carol Oates, dopo la scorpacciata fatta negli anni passati.
Si sa che la scrittrice è prolifica, e quando l’ho scoperta qualche anno fa ho avuto di che sbizzarrirmi a recuperare il tempo perduto con tutti i romanzi pubblicati in Italia _spesso difficilmente recuperabili_ e quelli disponibili solo in lingua originale.
A volte, però, questa prolificità dà la sensazione che la scrittrice abbia la smania di scrivere, di chiudere il libro, per passare al successivo. Portando così, ogni tanto, ad alcuni libri il cui livello non è alla pari degli altri. Non è sicuramente, per fortuna, il caso di questo. *Una brava ragazza*, edito da Bompiani, certo però che ci sono un po’ di imperfezioni, e addirittura qualche contraddizione.
Però JCO è sempre JCO, e dopo qualche mese di pausa si apprezza ancora di più la sua forza e la sua bravura.
Katya Spivak è una ragazzina, in vacanza-lavoro con la famiglia Engelhardt per i cui bimbi fa la babysitter:
Un inizio innocente. Quando Katya Spivak aveva sedici anni e Marcus Kidder sessantotto. Sull’Ocean Boulevard di Bayhead Harbor, New Jersey, nel torpore del caldo opprimente di mezzogiorno, Katya spingeva il passeggino del figlio di 10 mesi degli Engelhardt e teneva per mano Tricia, la figlia treenne degli Engelhardt, passando in rassegna le boutique da sogno per cui era noto l’Ocean Boulevard – il Bridal Shoppe, il Bootery, la Wicker House, Ralph Lauren, Lily Pulitzer, Crowne Jewels, il Place Setting, Pandora’s Gift Box, Prim Rose Lane Lingerie & Nightwear – quando, mentre indugicava davanti alla vetrina di Prim Rose Lane, udì una voce inattesa: “E tu, cosa sceglieresti, dovendo esprimere un desiderio?”
Avviene così l’incontro fra la ragazzina e quello che potrebbe essere suo nonno. Tutto _anche le recensioni che ho letto su qualche giornale_ fanno presupporre di trovarsi di fronte a dei novelli Lolita e professor Humbert Humbert, ma in fondo non è così.
Katya Spivak vuole solo piacere, come le ha insegnato la madre, una poco di buono dedita all’alcol e al gioco d’azzardo:
Perché Katya ci teneva a essere apprezzata, ed era proprio quello il suo punto debole: voleva disperatamente piacere, anche alle persone che a lei non piacevano. Perché gli Engelhardt e i loro amici pacchiani erano gente ricca, e la gente ricca, come diceva Essie Spivak, può sempre decidere di spendere un po’ di soldi con te.
Ma non sono solo i soldi di Marcus Kidder _quelli che, sempre più generosamente, le elargisce dopo essere riuscito a conoscerla meglio e a convincerla a fare la modella per lui_: è soprattutto la gentilezza che lui le mostra, l’attenzione che le dedica, che è attenzione alla sua persona e non attrazione sessuale, un qualcosa che gli altri uomini non le hanno mai dimostrato.
Non tanto una Lolita, quindi, in un romanzo che ti tiene incollato alle pagine in un crescendo di suspance, fino all’epilogo finale, che è quasi quello di una favola, con tanto di “c’era un volta”, di re, sudditi, e cenerentole.
Katya, mi accorgo ora, ha 16 anni come il Jack di cui ho parlato nella recensione del libro di A.M. Homes. Stessa età, dunque, entrambi americani, ma non potrebbero essere più diversi: un adolescente che si affaccia in punta di piedi all’età adulta lui, già una donna lei; tante difficoltà da superare col sorriso lui, una vita difficile e poco da scherzare lei; una famiglia in qualche modo fuori dagli schemi ma sempre vicina con tanto affetto lui, un padre scomparso, una madre che porta solo disgrazie, due sorelle assenti, un cugino delinquente lei. Due mondi diversi e due modi diversi di raccontare l’adolescenza di oggi. Senza giudizi di valore, perché entrambe _Joyce Carol Oates e A.M. Homes_ sono due maestre.
*giuliaduepuntozero
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