Ho appena terminato Il memoriale del convento di José Saramago, che ho letto con grande interesse e mi ritrovo a parlare di questo romanzo, proprio nel momento in cui si scrive molto di questo autore , perché a 88 anni ci ha improvvisamente lasciato, il 16 giugno 2010, in una delle isole Canarie, dove si era ritirato dal 1991 per polemiche antireligiose con il governo portoghese.
E proprio in occasione della morte si tessono soprattutto elogi, come è facile immaginare per chi, unico finora tra i portoghesi, nel 1998 è stato insignito del Nobel, ma non sono mancati neppure attacchi pesanti alla sua persona attraverso l’Osservatore Romano” in un articolo dal titolo “L’onnipotenza (presunta) del narratore” – in cui è definito un ideologo anti-religioso, “un uomo e un intellettuale di nessuna ammissione metafisica, fino all’ultimo inchiodato in una sua pervicace fiducia nel materialismo storico, alias marxismo”. E ancora “Lucidamente autocollocatosi dalla parte della zizzania nell’evangelico campo di grano, si dichiarava insonne al solo pensiero delle crociate, o dell’inquisizione, dimenticando il ricordo dei gulag, delle “purghe”, dei genocidi, dei samizdat culturali e religiosi”.
Non mi stupiscono gli attacchi della chiesa cattolica per uno scrittore di indiscutibile laicità e che non ha mai risparmiato critiche alle religioni, più gratuito trovo il ricordare gulag e affini, considerato che Saramago a chi dopo la caduta del muro di Berlino chiedeva se si dichiarava ancora comunista rispondeva di sì “perché non era per il comunismo pervertito”.
Non ho ancora letto Il vangelo secondo Gesù Cristo e neppure il recentissimo Caino, in cui si elabora una particolare visione del nuovo prima e poi del vecchio testamento, ma anche solo la lettura di “Il memoriale del convento” può dare un’idea della posizione critica di Saramago verso la chiesa cattolica come forma di potere, con i suoi sanguinosi rituali, con i suoi autodafè. In tutto il romanzo si sente l’odore acre dei roghi dei tribunali della santa inquisizione.
Il romanzo ha una trama esilissima che si può sintetizzare in poche parole: 313 pagine per raccontare la costruzione per grazia ricevuta del convento di Mafra, avvenuta tra il 1713 e il 1730, o meglio del reale edificio, complesso grandioso di quattromila metri quadrati comprendente un convento per trecento religiosi, una basilica che doveva competere con San Pietro di Roma e un sontuoso palazzo reale, che voleva gareggiare con Versailles. E per la costruzione fu necessario il lavoro semi-forzato di cinquantamila uomini sorvegliati da settemila soldati.
A volere questa epica impresa, come ex voto per la nascita del sospirato erede, è il re del Portogallo, Giovanni V, che con il suo delirio di grandezza in qualche modo desiderava emulare il suo contemporaneo Luigi XIV.
La travagliata costruzione di questo complesso,” che sarà lo stupore dei secoli”, è un pretesto per costruire un pezzo di storia del 700, in cui trova spazio la vita quotidiana di un popolo che stenta a vivere, sottomesso ad una nobiltà e ad una gerarchia ecclesiatica che esercita il potere tra lussi e prepotenze.
Ciò che affascina in questo romanzo è l’ironia come cifra costante che accompagna tutta la narrazione e l’originalità della scrittura, che all’inizio rende un po’difficoltosa la lettura per la lunghezza delle frasi, la scarsa punteggiatura, la variabilità dei punti di vista, che cambia di scena in scena in una prospettiva che è ora passato, ora presente,ma anche futuro. Un romanzo storico, ma con un impianto novecentesco, che utilizza il flusso continuo. Rita Desti, la cui traduzione è ritenuta ottima da un Tabucchi, che di portoghese se ne intende, parla di “epopea narrata in una densissima prosa parlata con una maliziosa mescolanza di di livello alto e livello popolare” aggiungerei con la musicalità e il ritmo della narrazione di un cantastorie.
Anche le lunghe enumerazioni, ricavate certamente da documenti, di pietre, genti, carrozze, confraternite ecc.ecc. non sono noiosi elenchi, ma significative tessere di un mosaico per costruire quel pezzo di storia del 700 portoghese, dove l’ ironia è presenza costante e dove , come qualcuno ha scritto, le cose più folli appartengono alla storia, mentre le cose fantatiche sono le più credibili.
Alla narrazione di fatti reali, e presuppone una rigorosa documentazione storica, si affianca l’elaborazione fantastica che riguarda soprattutto il popolo, in particolare attraverso i due protagonisti che sono Baltasar Mateus Sette-soli, ex-soldato monco di una mano e la visionaria Blimunda, Sette-lune, legati da un tenace e tenero amore. E questi due personaggi inventati affiancano un re megalomane come Giovanni V o la regina Donna Maria Giuseppa” devota fattrice venuta al mondo per fare figli”, ma anche un personaggio storico come padre Bartolomeu Lourenco de Gusmao, il volador, professore di matematica a Coimbra, che 75 anni prima dei fratelli Mongolfier vinse la forza di gravità con un aerostato chiamato con nome popolare“l’uccellaccio”. Altro personaggio storico presente e con un suo fascino particolare è Domenico Scarlatti, maestro di clavicembalo dell’infanta, che poi diventerà regina di Spagna. E’ presente più volte con le note del suo clavicembalo e Saramago racconta che
gli correvano le mani sulla tastiera come una barca infiorata sulla corrente..ora velocissima, poi ondeggiando sulle acque dilatate di un lago profondo, baia luminosa di Napoli, segreti e sonori canali di Venezia, luce rifulgente e nuova del Tago…
Dei tre nuclei ,la costruzione del convento e la fabbricazione dell’”uccellaccio” ,quello che emerge in particolare è l’attività del Tribunale dell’Inquisizione, abolito in Portogallo solo nel 1821 e le condanne frequenti per giudaismo, luteranesimo, stregoneria, ma anche per bigamia. In tutto il romanzo, nelle tante processioni come quella del Corpus Domini o della Quaresima ,o quelle che accompagnano le diverse fasi della costruzione, dalla prima pietra all’inaugurazione finale del convento, si coglie l’uso del potere per una religiosità che è esteriorità, spettacolo lussoso, per tenere sottomesso un popolo che” ha costantemente motivo per inginocchiarsi, “popolino sciolto in paure e suppliche”, che nelle processioni è pronto a gettarsi per terra, a graffiarsi, schiaffeggiarsi. E il discorso di Saramago sulla religiosità umana penso sia al di là di quel pezzo di storia del 700 portoghese.
Come dice Umberto Eco la polemica di Saramago non è contro Dio, ma contro le religioni e la polemica contro Dio è concessa, ma non contro le religioni, perchè mette in discussione le strutture sociali. Trovo bellissima la definizione di Dio come “silenzio dell’universo e l’essere umano il grido che dà senso a tale silenzio”
Ebbene …penso che metterò questo romanzo tra i più belli letti, e non solo tra quelli del 2010. E come invito alla lettura mi permetto di dire ad eventuali lettori di non lasciarsi disarmare da un arido riassunto, come quello che posso aver fatto io o altri come me!!!
Purtroppo non potremo più leggere nulla di nuovo da un Saramago che se ne è andato per sempre, un portoghese autodidatta, proveniente da una famiglia di analfabeti e che ha dichiarato di aver letto un primo libro a 19 anni, ma a cui poi è stato riconosciuto il Nobel.
Tra le tante sue opere che potremo leggere, forse non dovremo ignorare quel Quaderno che di recente Einaudi si è rifiutato di pubblicare e che invece ha pubblicato Bollati Boringhieri. Saramago dal suo esilio volontario alle Canarie dialogava con il mondo con il suo blog, lanciava strali contro tutti, anche contro l’Italia di oggi,”un Italietta pecorona e volgare”e quella gran parte di italiani che accusava di essere diventata una moltitudine di burattini.
Io non mi sono sentita offesa da questa accusa… e voi?
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