Metà di un sole giallo (Einaudi) è il romanzo in lingua inglese di una giovane scrittrice nigeriana dal nome impossibile Chimamanda Ngozi Adichie, che a poco più di 30 anni è già al suo secondo successo letterario, vincitrice di premi importanti già con il primo romanzo del 2006, intitolato “L’ibisco viola”. Con questa opera seconda, pubblicata da Einaudi nel 2008, dopo essere stato un best seller negli Usa, ha vinto il premio Nonino con grandi apprezzamenti anche di Claudio Magris, che faceva parte della giuria.
Il romanzo ” d’amore e di guerra” ha uno sfondo storico fondamentale che si intreccia con le vicende private dei numerosi personaggi: la guerra tra Nigeria e Biafra che ebbe luogo tra il 1967 e il 1970 con la secessione delle province sudorientali. Il romanzo si articola in quattro parti che corrispondono a due scansioni temporali: inizio anni 60, che è il momento in cui la Nigeria con grandi speranze conquista la sua indipendenza e fine anni settanta, che è appunto il momento in cui per tre anni il Biafra si stacca dalla Nigeria,scatenando una terribile guerra. Chi non ricorda le immagini dei bambini biafrani con la pancia gonfia, vittime innocenti della fame?
Ancora oggi si ricorda che la Croce Rossa Internazionale ha dichiarato quella guerra come “ la più grave crisi umanitaria dalla seconda guerra mondiale”.
Il titolo del romanzo Metà di un sole giallo è il simbolo di quel Biafra esistito per tre anni: il sole nascente era sulla bandiera di un paese destinato a non sorgere.
In un’intervista Chimamanda ha dichiarato che per lei il Biafra è sempre stata un’ossessione e di aver sentito la necessità di scrivere questo romanzo da quando aveva 15 anni, per dare un senso alla storia personale di lei che , nata nel 1977 in Biafra , ha perso i nonni in questa guerra: “Non avrei mai potuto scrivere il romanzo senza i miei genitori, che hanno perso parenti, amici e tutti i loro beni. A loro sono riconoscente per i racconti che mi hanno regalato”: i ricordi di chi è sopravvissuto insieme ad una seria documentazione sono il tessuto su cui sono costruite le storie di tanti personaggi per lo più inventati con i loro amori, tradimenti, rancori e riappacificazioni .
Nella prima parte del romanzo si fa fatica a sentirsi in Africa, perché non è la solita Africa delle carestie, della fame, delle malattie, ma è soprattutto l’Africa di salotti borghesi, di ambienti universitari, del circolo colto del professor Odenigbo idealista rivoluzionario, in cui si parla di poesia, di filosofia e di politica. Personaggio importante, legato alla bellissima, ricca e sensuale Olanna,” la bruna sirena”, sorella gemella di Kainene, che è invece poco attraente, beffarda, legata ad un bianco, al biondo inglese Richard, aspirante scrittore e amante dell’arte igbo.
Igbo e Yoruba sono le etnie del sud, per lo più convertite al cristianesimo: i principali personaggi sono igbo come la stessa Chimamanda: il suo nome così difficile è un nome igbo e vuol dire che “Dio non fallirà” con la diffusione del cristianesimo. Ogni nome per noi così strano ha un preciso significato: Olanna: oro divino, Kainene “vediamo che altro ci riserva Dio” e così via. Al nord invece prevale l’etnia degli Hausa, per lo più islamici. E dopo il colpo di stato del 1966 si intensificano i contrasti tra gli Hausa al governo e gli igbo, che proclamano la repubblica del Biafra ed ha così inizio il genocidio con milioni di morti. Non contano più la ricchezza, la cultura quanto essere Hausa o Igbo.
Anche nella prima parte c’è un’Africa tribale,quella dei villaggi , dell’animismo, in cui regna la superstizione, in cui conta molto ancora la magia. Un romanzo, come è naturale, con tante Afriche
Credo in Dio, credo nel Bene- ha dichiarato Chimamanda cattolica in un’intervista a Livia Manera sul Corriere della Sera – ma non credo nella religione come valore positivo. E considero alla stregua di fede religiosa anche la superstizione, che ha una parte molto importante nel mio libro. Per quanto mi riguarda, credere nel potere di uno stregone o in quello di un dio cattolico, non fa una grande differenza.
Un personaggio importante che ci accompagna lungo tutto il romanzo è Ugwu, il ragazzo dalla carnagione molto scura che, quando entra al servizio del professore Odenigbo, non ha mai visto un lavandino. “l’acqua dove vive lui scorre solo alla fontana pubblica… il cibo si prepara in cucine fumose e affollate e non si conserva in grosse scatole fredde dai ripiani colmi…le notizie passano di bocca in bocca anziché uscire da quel coso che Padrone chiama radiogrammofono”.
E’ il mite ragazzo, fedele illetterato che guarda per la sua crescita intellettuale con interesse al professore, poi si scontra con la durezza della guerra e nell’ultimo periodo, con la coscrizione obbligatoria tra mercenari e ragazzini drogati violenta con i suoi commilitoni una donna. Il romanzo è dedicato a Mellitus, un ragazzino che lavorava a casa dei genitori di Chimamanda ed è a lui che non ha conosciuto che la scrittrice si è ispirata per il personaggio di Ugwu .
Il romanzo è narrato in terza persona con una pluralità di punti di vista, perché nei diversi capitoli si alternano le voci ora di Olanna, ora di Richard, ora di Ugwu, che è la voce più autorevole.
La guerra è nella seconda parte in primo piano con tutta la sua insensatezza e terribilità disumanizzante: i bombardamenti, la fame,le atrocità, la paura, la fuga. L’assurdità e tragicità di questa guerra si sintetizza in immagini terribili come la donna che culla la testa mozzata della sua bambina o l’uomo il cui corpo continua a correre senza testa prima di stramazzare come un pollo.
Richard, l’inglese che sceglie il Biafra come sua patria, scrive, lui bianco, l’atto di accusa contro i bianchi: “Il mondo taceva mentre noi morivamo“: con questa frase si chiudono diversi capitoli ed è come un mantra, che accompagna il romanzo e mette sotto accusa l’ipocrisia di un occidente indifferente, mentre si consuma una tragedia in una Nigeria, pedina nelle mani di burattinai internazionali, e soprattutto in un Biafra che possiede i maggiori giacimenti di petrolio, argomento trascurato da Adichie.
Sono molti i romanzi che hanno come sfondo questa guerra civile- in particolare Sozaboy di Saro-Wiwa e di altri scrittori che hanno vissuto direttamente questa guerra – Chimamanda, nata invece sette anni dopo la fine del conflitto- come lei stessa ha dichiarato – ha potuto parlarne con il distacco necessario e creare più liberamente i personaggi di questa storia. Concludo ricordando le parole di Claudio Magris che definisce “possente” questo romanzo:
La scrittrice, proprio perché è una vera scrittrice, non muove da motivazioni morali, ancorché nobili. Non vuole lamentare, denunciare, rivendicare, protestare, manifestare. Vuole raccontare, ossia comprendere e far comprendere la vita e alcuni suoi volti, e lo fa con maestria, con una forte partecipazione che non infirma minimamente la forza oggettiva, epica del suo narrare. Metà di un sole giallo assolve superbamente il compito del vero e grande romanzo, quello di calare, di incarnare una grande realtà storica in irripetibili vicende individuali.
Chimamanda Ngozi Adichie, Metà di un sole giallo, Einaudi, 2008 pp.450
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