Pensavo di aggiungere un breve commento al mio articolo recente sul saggio L’altro, ma la pubblicazione il 3 marzo 2010 in Polonia della biografia di Arthur Domoslawski con il titolo Kapuscinski. Non fiction. Sottotitolo: il reporter, l’uomo, i suoi tempi ha suscitato in me una reazione, direi una vera indignazione, per cui mi è parso utile mettere l’argomento più in evidenza con un post, perchè poi spero si apra un dibattitto tra i lettori di questo blog, anche perchè mi risulta che siano molti gli ammiratori di qusto reporter, che non a caso è stato ritenuto anche da Tiziano Terzani o da Susan Sontag e molti altri il più grande reporter del 900.
In genere scrivo dopo avere letto il libro, che intendo commentare, ma in questo caso non sarebbe possibile, perchè in Italia non è stato ancora pubblicato, anzi Feltrinelli, che ha pubblicato quasi tutti i suoi reportage, si è rifiutata di pubblicare questa biografia del giovane (41 anni) polacco, giornalista, allievo, amico,mentore di Kapuscinski.
La mia reazione nasce dalla lettura di articoli di quotidiani come La Repubblica, La Stampa, Il Corriere della Sera o dell’Espresso (n.11-18 marzo 2010 ): in questo ultimo il sociologo Z. Bauman parla dell’”Affaire Kapuscinki” e in modo approfondito e problematico commenta questa biografia anche attraverso significativi riferimenti a Milan Kundera o a Salman Rushdie.
Si tratta di una biografia che in pochi giorni ha già fatto parlare molto di sè e che mi sembra di capire voglia distruggere un mito, accreditato ovunque, da parte di un allievo che vuole restituire al maestro “la sua vera, amorevole dimensione umana. “Ti uccido con amore” come si titola su L’Espresso.
Tre rivelazioni: indelicate e superflue sulla vita sentimentale di Kapuscinski e sul suo rapporto con la figlia; sul rapporto con il partito comunista, non da dissidente, ma da sostenitore fino al 1981 del partito e amico dei capi per opportunismo; rapporto tra fantasia e verità nel reportage. E questo mi sembra l’argomento più importante.
Seicento pagine di biografia per distruggere il reporter polacco, che sarebbe dunque un personaggio del tutto diverso rispetto a quello in cui noi lettori crediamo: uno che “romanza”, che inventa, che dice bugie, e poi imprecisioni, un manipolatore di resoconti, uno che misurava bene le opportunità di carriera.
Per esempio nei famosi reportage sull’Uganda e la descrizione del lago Vittoria non è vero che i pesci erano grassi perchè mangiavano carne umana perchè venivano gettati nel lago i corpi dei perseguitati politici, ma si nutrivano dei più piccoli esemplari di pesci che arrivavano dal Nilo E i famosi ritratti di Che Guevara e Lumumba scritti senza averli conosciuti e di cui che non era mai stato amico. E così per i i fatti messicani del 1968.
Non solo la moglie, ma anche la traduttrice Vera Verdiani si chiedono se per il biografo il pretesto di una spassionata ricerca della verità non sia alla fine un parricidio o un’autentica esecuzione.
Non sono una che corre dietro ai miti, ma le affermazioni di questa biografia distruggono tutta un serie di riflessioni dello stesso Kapushinski, che sono alla base della mia ammirazione per lui, dell’etica che è alla base del suo viaggiare e narrare, soprattuto in questo periodo in cui con grande interesse e ammirazione sto leggendo molte delle sue importantissime opere (cfr. la recente pubblicazione nei Meridiani ).
Che fine fanno affermazioni, come quelle che trascrivo, ricavate da testi diversi, che sono di un viaggiatore instancabile, “viaggio duro, micidiale che sfibra, distrugge” non di un “turista per caso”, di un testimone oculare di 27 rivoluzioni, che gira il mondo con un bagaglio leggero: con una penna a sfera, un taccuino e una macchina fotografica
Scrivo dal vivo, non sono capace di inventare, descrivo un mondo che realmente esiste, un mondo che non smette mai di divenire
“Non registro davanti ad un microfono, perchè la gente perde la sua originalità e spontaneità. è importante lo sguardo al di là dell’udito”.
“Non dormo all’Hilton: dormo dove dormono i personaggi dei miei racconti, mangio e bevo quello che mangiano e bevono loro. Scrivo solo ciò che vedo di persona. Voglio abitare in una città africana, altrimenti come posso conoscere questa città, questo continente”.
Quello che si addice alla mia scrittura è descrivere avvenimenti autentici e persone autentiche, usando le forme e lo stile di quello che noi chiamiamo narrativa e altri fiction: non la pura relazione del fatto politico. A me interessano la natura, il clima, l’atmosfera e un’infinità di altre cose, tradizionalmente associate alla descrizione di tipo letterario. L’effetto è una mescolanza di generi e mezzi di vario tipo (ma questo non è scrivere romanzi o mentire! si è sempre parlato di reportage letterario)
“Tre tipi di fonti: la gente, i documenti, i libri, gli articoli. Il mondo che ci circonda e in cui siamo immersi: colori, temperature, atmosfere, climi”.
“La mia formazione è di storico, ma ciò che mi affascina è il modo in cui si crea, il modo in cui reagiscono gli uomini..ho un forte bisogno di empatia, non posso fare a meno di vivere le cose insieme alla gente”.
“i cinque sensi dei giornalisti: esserci, vedere, ascoltare, condividere, pensare“.
Potrei continuare con altre citazioni o dichiarazioni, fatte publicamente per il premio Grinzane Cavour o all’Università di Udine o quando ha incontrato i giovani a Bolzano, che sono in aperto contrasto con ciò che… l’amico Domoslawshi dichiara nella sua ampia biografia.
A questo punto mi interessa l’opinione dei lettori di questo blog a partire proprio dalle emozioni e riflessioni maturate nella lettura diretta dei reportage di Kapuscinski o sono solo io ad essermi indignata?
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