
Ancora una foto. Questa terribile.
Fa parte di un album dell’United States Holocaust Memorial Museum: Auschwitz through the lens of the SS: Photos of Nazi leadership at the camp.
Sono fotografie del personale di guardia al campo di sterminio, scattate dalle Ss stesse. Le più agghiaccianti sono quelle che ritraggono gli aguzzini durante il tempo libero. Ovviamente sorridono e sono rilassati. Si divertono. Sembrano persone “normali”. Anzi sono “normali”.
Guardando queste fotografie mi ritrovo a pensare e a rileggere le parole di Elisabeth Young-Bruehl in Hanna Arendt: perché ci riguarda, pubblicato qualche mese fa da Einaudi (l’originale americano è del 2006), un libro che mette in fila una serie di motivi per dimostrare quanto il pensiero della Arendt sia attuale.
Ovviamente qui la questione riguarda il concetto più conosciuto fra quelli elaborati dalla filosofa: “La banalità del male”, con il quale ha contribuito a inquadrare la personalità di Adolf Eichmann (La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, 1964).
Elisabeth Young-Bruehl ci ricorda che il concetto di banalità del male si sosteneva su quello di thoughtless (privo di pensiero, ottuso, irriflessivo, incurante). Concetto che Arendt aveva già usato in Vita Activa (Bompiani. Originale: The Human Condition).
Ciò che Arendt cercava di catturare con l’espressione “banalità del male” era quel genere di male che risulta dalla particolare capacità di smettere di pensare, insita in individui come Eichmann, la cui irriflessività venne favorita perché, attorno a lui, tutti accettavano senza discutere l’ordine di sterminio di Hitler e la visione del glorioso Reich millenario. Hanna Arendt: perché ci riguarda, pag. 6
Ma già nel 1958 in The Human Condition, Arendt dava una definizione di thoughtless che “aveva un’eco più profonda“.
Scrivendo della condizione complessiva della modernità, aveva offerto una definizione del termine:
“La mancanza di pensiero – l’incurante superficialità o l’irrimediabile confusione o la ripetizione compiacente di verità diventate banali e vuote – mi sembra tra le più salienti caratteristiche del nostro tempo”.
Ecco, non è un’analisi che si adatta anche ai nostri giorni?
Le facce sorridenti di quelli che stanno in questa foto non potrebbero essere simili a quelle che a volte abbiamo intorno?
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