Mi sono imbattuta per la prima volta in questa autrice leggendo l’articolo di Nick Hornby “I miei primi quaranta libri* pubblicato su Internazionale ad aprile: uno dei quaranta titoli citati era di questa scrittrice, *Dinner at the homesick restaurant* (in Italiano pubblicato da Guanda col titolo *Ristorante nostalgia*).
L’altro giorno girovagavo fra gli scaffali della mia libreria per decidere cosa leggere dopo aver finito l’ennesimo giallo scandinavo, e mi cade l’occhio su questo libro. La storia è poi più complicata perché dopo qualche pagina si fa l’ora di uscire per una spedizione di vendita di libri al Libraccio, e conseguente capatina al piano dei volumi usati, in cui trovo *La figlia perfetta* sotto la T, che mi attira con la solita, ben riuscita copertina della Guanda. Insomma, lo compro, e arrivata a casa abbandono *Ristorante nostaglia* (non è il periodo di libri in inglese) per buttarmi su quest’altro.
Decisamente amore a prima vista, tanto che l’ho divorato in 3 giorni, facendo le ore piccole senza riuscire a staccarmi.
Il libro è ambientato a Baltimora, e racconta di due famiglie, i Donaldson e gli Yazdan, le cui vite si incontrano all’aeroporto dove entrambi i gruppi sono andati a ricevere le figlie adottive appena arrivate dalla Corea. Le due famiglie intrecciano subito un’amicizia forte, fatta di incontri, visite reciproche, telefonate, e soprattutto ricorrenze curiose e divertente per come descritte dalla Tyler, come la Festa dell’Arrivo (per festeggiare l’anniversario dello *sbarco* delle bimbe negli USA) o la Festa del Ciuccio. Se non fosse che, come fanno capire i cognomi, i Donaldson sono americani che più americani non si può, mentre gli Yazdan sono di origine iraniana, emigrati megli USA. Pur ritrovandosi molto vicini per l’esperienza comune, non sempre l’integrazione è così facile, e così gli iraniani quando soli deridono i modi da conquistatori degli americani, che a loro volta scherzano sulle *strane* usanze degli amici.
Il tutto si complica ancora di più quando Dave, padre dell’america Bitsy Donaldson, e Maryam, madre dell’iraniano Sami, entrambi vedovi e ultra-sessantenni, si innamorano l’uno dell’aaltro.
La storia non è così semplice e banale, ma non aggiungo altro.
Ripeto solo che è stato una bellissima scoperta, mi ha colpita e coinvolta molto, soprattutto nella descrizione dei rapporti instaurati fra i membri delle diverse famiglie, nelle belle pagine in cui racconta dei ricordi degli emigrati iraniani, o in quelle commoventi in cui i due vedovi ripensano ai propri coniugi che li hanno lasciati. Non mancano sorrisi e risate, in tanti punti in cui l’occhio attento e ironico della Tyler diventa pungente su tic e fissazioni dei politically correct Donaldson.
Recupererò il prima possibile anche gli altri suoi libri.
*giuliaduepuntozero
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