Solo per ricordare la forza del piacere di leggere.
L’occasione è il libro di Amitav Ghosh, Mare di papaveri (Neri Pozza), del quale, qui e là, in questo blog si è gia parlato (da alcuni è stato indicato tra i migliori fra quelli letti nel 2008).
Mentre pensavo a come esprimere il piacere suscitato dalla lettura di questo libro, è venuta a galla la sensazione della vicinanza di questo piacere con quello generato dai romanzi di Dickens: avventura, personaggi di ogni tipo e forma, chiaroscuri, immagini ineguagliabili, la Storia sullo sfondo.
Siamo nell’India inglese del 1838, alla vigilia della guerra dell’oppio con la Cina. Nell’India dominata dai mercanti e soldati della Compagnia delle Indie orientali si muove uno stuolo di personaggi che vicende di ogni tipo portano inesorabilmente verso un grande veliero, la Ibis, pronta a salpare da Calcutta.
Deeti e Kalua, che fuggono le condizioni di vedova ed ex lottatore, vessati da famiglia e caste e mercanti; che lasciano i campi di papaveri e la povertà che la monocoltura per la produzione di oppio ha imposto ai contadini indiani, ormai parte dell’economia “globalizzata”. E Jodu che, orfano, insegue il sogno di fare il marinaio-lascaro nel Nero Oceano.
Paulette, l’inglese, che fugge dalla vita nella famiglia del “benefattore”, un mercante protestante religiosissimo e senza scrupoli, arricchito con il traffico di oppio e di manodopera coolie e benedetto dalla luce della “missione civilizzatrice dell’uomo bianco”.
Zachary, figlio di una schiava liberata del Maryland e del padrone della madre, e diventato ufficiale della Ibis. E poi Neel, raja di Raskhali, latifondista illuminato dalle idee egualitarie del Buddha che però “si lascia vivere” come vive la sua casta pura e ossessionata dalla contaminazione delle caste basse, dalle impurità dei corpi, e sperpera la ricchezza, indebitandosi con i mercanti inglesi e finisce deportato galeotto (il personaggio che prefersico 🙂
E poi una serie altri personaggi minori, tutti però sullo sfondo di questo mondo coloniale pieno di suoni di voci e immagini.
E proprio la forza delle immagini evocate da Ghosh è forse la parte più irressitibile del romanzo: i moli di Calcutta sul fiume, i campi di papaveri, il lavoro dell’equipaggio di lascari sulla nave, i party dei mercanti e funzionari inglesi, il sistema delle caste rappresentato dai rituali di purezza e dalla paura della contaminazione. E la Cina dell’imperatore Manchù, colpevole di non accettare più il “libero scambio”, per esempio l’importazione dell’oppio, che tanto danaro porta nelle casse dei mercanti inglesi e di sua maestà a Londra.
Contributo decisivo alla creazione di queste “immagini” è dato dalla lingua, dalle lingue che Ghosh riproduce in Mare di papaveri. Lingua di cui ci raccontano alcuni dettagli i traduttori italiani a fine libro.
Lingua che contribuisce a creare un “rumore di fondo”, come lo chiama Ghosh, “che può non essere immediatamente comprensibile ma serve ad altri scopi”.
Nell’originale ogni personaggio parla un “inglese” diverso (Ghosh scrive in inglese), contaminato dalle altre lingue: bengali, hindi, hurdu, bhojpuri, cinese, francese, lascari, zubben…
E nel ricreare questa lingua ricchissima mi pare che i traduttori italiani (Anna Nadotti – Norman Gobetti) abbiano fatto un lavoro egregio.
Per chi fosse interessato alla questione della lingua di Ghosh in Mare di papaveri, sul sito dello scrittore si può leggere lo scritto The Ibis Chrestomathy che ricostruisce il viaggio di molte parole usate nel libro fra le lingue indiane e l’inglese usato dall’autore.
Mare di Papaveri è il piacere puro della lettura, come dicevo prima.
Ciao a tutti (e auguri!!!)
Ecco anche un video con un’intervista allo scrittore
Amitav Ghosh: Between the lines.
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