appunti di lettura
Dopo un terzo di libro, sono già profondi i segni lasciati da _Quando dio ballava il tango_.
Per esempio, dalle prime righe, colpisce l’afasia degli uomini in questo romanzo corale dove si alternano tante voci, tutte femminili.
E come se ci venisse ricordato – a noi uomini intendo – le nostre fatiche nell’affrontare la memoria, nel dare nome agli affetti, nel fissare nelle parole i passaggi decisivi delle vite; nel dire il dolore e la gioia.
Le memorie di esistenze, luoghi, fatti, persone, sentimenti, gioie, paure, sconfitte, perdite, partenze, amori si conservano perché custodite, elaborate, fatte riaffiorare, raccontate, re-inventate, interpretate dalle donne. Protagoniste delle storie e della storia anche quando escluse, ferite, abbandonate, lasciate sole, allontanate.
Insomma – sembrano suggerire le voci che affiorano in questo libro – solo la memoria delle donne, e il racconto che ne fanno le donne riesce a dare senso a decine di vite che senza questa memoria finirebbero nell’oblio: e questo avviene _anche quando queste vite sono quelle degli uomini_.
E’ come se gli uomini in questo mondo duro e crudele, quasi sempre padroni del destino delle loro donne, siano esistiti – visti da una prospettiva distante nel tempo – solo _grazie_ al discorso delle donne e al loro ricordo.
Questo è vero anche quando la vita in famiglia le ha private delle parole necessarie per dare voce ai sentimenti, alle sensazioni ai desideri. Quel che è avvenuto per esempio a Venturina: nel primo dei racconti concentrici, pensa, nel monologo interiore durante l’incontro con Corazón, come sia cresciuta senza parole, “prima sotto mepà, poi senza mepà, poi sotto marito e figli, infine da sola”. E questo le impedisce di raccontare a Corazón alcune cose importanti che però saranno i suoi gesti e la sua “faccia di noce secca” a dire.
Anche le lettere che Venturina ha scambiato con i figli emigrati:
“lettere per non dire niente, per tacere tremando di rabbiosa impotenza; perché da che mondo è mondo le donne han sempre fatto così, l’ho imparato da piccola; perché il mio cuore non ha più parole”.
Eppure il dialogo e il non detto con Corazón fanno di Venturina una delle grandi voci di questo romanzo, come se smentisse e riscattasse, ora da vecchia, quella la vita priva di parole.
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