In ricordo di Remo Bodei

Mimmo Rotella, Speak Up, 1999 – Wiki Art, Fair use

Il 7 novembre se ne è andato Remo Bodei. A distanza di due settimane mi piace ricordarlo anche qui, citando due articoli usciti dopo la sua morte. Uno dell’amico e collega di filosofia, Salvatore Veca, pubblicato sul sito della Fondazione Feltrinelli; l’altro di Francesca Rigotti su “Doppiozero“.

Il punto dei due contributi, per quanto mi riguarda, è ricordare quanto Bodei abbia aiutato i suoi studenti e noi lettori a capire la filosofia e il suo intreccio con la vita, intellettuale ma anche materiale, quotidiana. C’è un libro di Bodei che rileggo, a pezzi, di frequente. È Destini personali. L’età della colonizzazione delle coscienze (Feltrinelli, 2002). Un saggio denso, densissimo del 2002, nel quale affronta la questione dell’identità personale nel pensiero filosofico: a partire da Locke, per il quale l’identità è una specie di erede e surrogato dell’anima; per arrivare al XXI secolo. Si chiede Bodei:

“Con la caduta degli stati totalitari e l’ingresso dei loro cittadini nell’area della democrazia parlamentare e dell’economia di mercato, l’individuo abbandona davvero il carcere-rifugio del Noi per rinascere differenziato, molteplice, libero, capace di ricostruire la propria cittadella interiore dalle ceneri del precedente ‘tipo’ umano? Esce disintossicato dalla cupa fabbrica che ha forgiato gli uomini secondo stampi ideologici che dovevano accentuarne la metallica compattezza, la neutra uniformità e la disumana durezza?”

Un libro ricco di riferimenti alla storia del pensiero, che oltre alla forza della guida culturale ci riserva quella di palestra emotiva nell’aiuto a lavorare per capire se stessi. Sempre attraverso la relazione con gli altri.

IL COLLOQUIO

Dice Veca:

E non c’è ricordo in cui non risenta la voce pacata di Remo e non mi risuoni l’eco del suo impegno costante nel dialogo e nel confronto genuino delle idee.

Così, quando Salvatore Veca scrive del verso di Friedrich Hölderlin: “Molto ha esperito l’uomo. / Molti celesti ha nominato / da quando siamo un colloquio / e possiamo ascoltarci l’un l’altro“, che piaceva e ispirava Bodei, penso a quanto ancora possa aiutarci il pensiero che ha questa straordinaria capacità di tessere e mostrarci i pensieri degli altri filosofi e intellettuali e di dialogare anche con loro ancorandosi sempre anche al nostro tempo. Scrive ancora Veca a proposito dell’amico scomparso:

Mi viene fatto di pensare al “pensiero poetante” secondo il suo appassionato interprete, Martin Heidegger. Ma trovo più naturale pensare alla priorità dell’arte sociale del linguaggio di Quine, in virtù della quale noi, che siamo un colloquio, possiamo ascoltarci l’un l’altro.
Ma ora vorrei suggerire una lettura più radicale del classico verso. Potremmo sostenere che, in senso letterale, ciascuno di noi è un “colloquio” e che ciascuno di noi può ascoltare se stesso come un altro. E ciò potrebbe gettare una luce più forte sulla dimensione costituiva del convivere nei legami dell’amicizia o dell’amore, perché la nostra capacità di parlare con noi stessi si basa e si alimenta dell’apprendimento del parlare con altri e dell’ascoltarci l’un l’altro. In questa prospettiva, è perché apprendiamo convivendo a parlare con altri e altre e ad ascoltarci che noi possiamo inferire che noi siamo un “colloquio”, caro Remo.

AZZERARE LE CONDIZIONI DEL DOMINIO

Rigotti invece dedica il suo articolo soprattutto all’ultimo libro di Bodei: Dominio e sottomissione. Schiavi, animali, macchine, intelligenza artificiale, il Mulino, 2019. In particolare, scrive che:

Bodei propone di srotolare il passato mantenendone memoria, per ricongiungerlo al presente e proiettarlo sul futuro. Come se il tempo – il paragone è di un antico stoico – fosse una gomena le cui fibre formano una serie di intrecci non lineari che si avviluppano in una «successione relativamente coerente pur nelle sue torsioni» (p. 379). Non può non venire in mente la fune di Wittgenstein – autore oggi ingiustamente poco frequentato – che nelle Ricerche filosofiche [I, 67] descrive il formarsi di una «famiglia» di concetti (es. di numeri) attraverso le sue somiglianze, in virtù dell’intreccio di fibra su fibra: «La robustezza del filo non è data dal fatto che una fibra corre per tutta la sua lunghezza, ma dal sovrapporsi di molte fibre […] Un qualcosa percorre tutto il filo, cioè l’ininterrotto sovrapporsi di queste fibre».

I fili della gomena di Bodei ritornano qui ma per diventare i rapporti con noi stessi e gli altri, che formano la nostra personalità, tanto più robusta «quanti più fili sarà riuscita a intrecciare e quanto meglio sarà stata capace di annodarli» (p. 391). Semplici esercizi di ricomposizione della mente e dell’animo, rivalutazioni del silenzio, del buio e della «vita semplice», di Diogene nella botte e di Greta nella barca. È lo svolgere il filo della continuità della vita di ciascuno, della navigatio vitae, dove è cosa saggia lanciare talvolta la gomena legata all’ancora e far ormeggiare il pensiero e l’attività frenetica per esercitare pause di riflessione, fermandoci ogni tanto a meditare sulla vita. E a pensare a come azzerare le condizioni del dominio che rischia di dimezzare il mondo in ricchi annoiati e poveri disperati e schiavizzati.

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Una replica a “In ricordo di Remo Bodei”

  1. Grazie, Luigi, per aver ricordato Romeo Bodei. Una perdita dolorosa che è arrivata inaspettata: pacatezza, serenità e saggezza avevano illuso che ci avrebbe aiutato, ancora per molto, a comprendere questo nostro storto presente. Il suo pensiero- dici giustamente- ci aiuterà ancora a tessere altri pensieri. Ne faremo tesoro.

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