
Manuel Vilas, In tutto c’è stata bellezza (Guanda, 2019) è un libro forte che disturba il lettore. Ho continuato a leggerlo fino alla fine sia perché mi piaceva molto, sia perché in questi casi mi aiuto sempre pensando a Kafka che diceva – lo cito liberamente – che se i libri non ci disturbano sono inutili.
Vilas racconta vite che sono anche le nostre o che, meglio: potrebbero essere state anche nostre. Stessa generazione, stessi ceti sociali, difficoltà simili. Anche se – per mia fortuna – non mi riconosco nella sua solitudine attuale e non mi sfiora, almeno per ora, la sua ossessione per la morte.
Mi riconosco invece in quelle domande che si ripete continuamente, sui silenzi e le parole dette e non dette, sulle occasioni perse per parlare a fondo con i genitori e che poi ci perseguitano quando cominciamo a maturare e invecchiare. Sugli errori che non vorremmo che i nostri figli ripetessero con noi: l’errore del silenzio. Anche la forma spezzettata e frammentaria del libro – un memoir sui generis, più che un romanzo – offre il punto di equilibrio fra la lucidità dello scrittore è il rischio di dispersione dell’esistenza.
In tutto c’è stata bellezza, è un libro pieno di sofferenza e esperienze traumatiche – come l’abuso sessuale da parte di un sacerdote, subito a otto anni, o l’alcolismo o il divorzio – che chiama continuamente in causa indirettamente il lettore in una specie di dialogo e confronto a distanza sulle rispettive vite, in particolare nelle relazioni cruciali con la madre e il padre.
Però è un libro anche ossessivo, ripetitivo, reiterato, pieno di osservazioni minute sulle nostre vite, le classi sociali nella Spagna fra gli ultimi decenni del franchismo e gli anni Ottanta. È anche un mancato dialogo con i propri figli. È dolore e sofferenza e solitudine infilata in una prosa di grande vivacità precisione e bellezza.
Disturba perché Manuel Vilas scrive dei propri genitori con grande amore e dedizione e riconoscenza. Ma d’altra parte ne scrive in modo impietoso. Mi ha colpito molto, per esempio, la descrizione piena di amore, della madre come una “punk”, confusionaria, concentrata su poche, pochissime cose, disturbata dagli altri e dalle cose degli altri – gettava via ogni carta che trovava in casa, anche documenti importanti, per esempio – e che non sapeva davvero chi fosse Francisco Franco.
«Questo mi fa impazzire, questo fa sì che adori mia madre.
Non si può essere più punk.
A mia madre interessavano soltanto Julio Iglesias, le mogli e i figli e le figlie e il padre di Julio Iglesias, e le canzoni di Julio Iglesias. Quando sento la voce di Julio Iglesias penso a lei.» (Capitolo 139).
Sì, Vilas è anche melodrammatico. E analitico. Per esempio quando racconta del bagno della casa dei genitori. Un bagno orrendo, che non permetteva nemmeno di fare un vero bagno, e dove non venne mai installata una doccia funzionante. Non ci si poteva lavare. La madre però aveva deciso di rifare la casa per renderla adeguata al decoro previsto dallo status sociale ottenuto per qualche anno dal marito, grazie a un certo successo economico nel suo lavoro di commesso viaggiatore. Rifare la casa significava però, per la madre, avere un grande salotto da mostrare alle amiche in visita. Mentre il bagno continuava a essere scalcinato e inefficiente, come rimase fino alla fine. Poi, passata la sbronza del successo modesto, tornate le difficoltà economiche, le amiche “borghesi e agiate” abbandonarono la madre.
«Il patrimonio sociale di mia madre si disintegrò. Durante i pochi anni in cui a mio padre le cose andarono bene, mia madre riuscì a camuffarsi in una classe sociale che più tardi avrebbe finito per scacciarla dal suo seno. E il bagno non fu mai rinnovato. Mia madre inseguiva la considerazione sociale, che svanì, e io inseguo la considerazione letteraria, che sta anch’essa svanendo. Per questo, credo che non ci sia alcuna differenza fra le chimere di mia madre e le mie».
In tutto c’è stata bellezza merita tutta l’attenzione di chi si interroga sulla propria vita e vorrebbe dare forma a questa attenzione scrivendone, scrivendone anche a lungo. Ma mettete in conto un grande disagio. Anche se al fondo, Vilas ci mostra davvero quella “bellezza” che annuncia il titolo, e che ciascuno di noi cerca quando racconta e scrive la propria vita.
Manuel Vilas è nato nel 1962 a Barbastro in Aragona. Ha scritto raccolte di poesie e alcuni romanzi.
Intervista a Manuel Vilas (Avvenire)
Recensione del libro (El País)
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