La nostra lettura si intreccia in modo inestricabile – forse troppo – con il resto della vita. Il discorso generato dalla lettura diventa così irriducibile a qualsiasi ortodossia, qualsiasi interpretazione derivata. Addirittura – paradosso per un Gdl – : impossibile da comunicare davvero agli altri

Ancora una aggiunta al tema della mappa del lettore (della quale abbiamo già tracciato le coordinate).
Questa volta per ricordarci come le vicende personali di ciascun lettore, osservate dopo alcune letture, entrino nella mappa di quel lettore, sia come fattore emotivo, sia come conoscenza rielaborata.
Insomma, le nostre letture non si staccano mai dalla nostra vita. Il che, ovviamente, è quello che rende così interessanti i Gruppi di lettura e, d’altra parte, così eterodosso il discorso che questi producono a proposito dei libri. Così diverso – orgogliosamente diverso, direi – da quello di chi decide di fare una recensione.

È dunque un caos fecondo, nel quale le letture e il discorso che si genera in proposito, sono sempre in relazione dialettica con le altre letture e in un intreccio quasi inestricabile (troppo?) con la vita.
Tanto è vero che a volte l’esperienza della lettura scivola sullo stesso piano dell’esperienza della vita, e si confonde, come sappiamo bene.
Senza nemmeno che noi ci si avvicini alla follia di Don Chisciotte, ma restando invece “normali”.

Per esempio, dentro il libro di Emmanuel Carrère, Il Regno (Adelphi), una pagina sulla depressione e la deriva individuale mi ha fatto sussultare. Una pagina che, tra l’altro, sembrerebbe più una digressione – una di quelle frequenti e ricche che ci regala Carrère – che un approfondimento del tema del libro. Anche se in Carrère tutto ciò che è personale è sempre esplicitamente intrecciato con la materia della scrittura.
Scrive:
“Sarei sciocco a lamentarmi, non mi ci ha costretto nessuno, ma degli anni passati a scrivere L’Avversario mi è rimasto il ricordo di un lungo e lento incubo. Mi vergognavo di essere affascinato da quella storia e da quel criminale mostruoso, Jean-Claude Romand. A distanza di tempo, credo che ciò che avevo tanta paura di condividere con lui lo condivido, lo condividiamo lui e io, con la maggior parte della gente, anche se per fortuna la maggior parte della gente, anche se per fortuna la maggior parte della gente non arriva al punto di mentire per vent’anni e poi sterminare la famiglia. Penso che anche le persone più sicure di sé percepiscano con angoscia lo scarto che esiste fra l’immagine di sé che bene o male cercano di dare agli altri e quella che hanno di loro stessi nei momenti di insonnia, o di depressione, quando tutto vacilla e si prendono la testa fra le mani, seduti sulla tazza del cesso. In ciascuno di noi c’è una finestra spalancata sull’inferno; cerchiamo di starne alla larga il più possibile, e io, per una mia precisa scelta, ho passato a quella finestra, ipnotizzato, sette anni della mia vita” (pag. 294).
È un passaggio che impressiona molto. Proprio perché rende evidente il travaso fra vita e lettura e viceversa: per chi ha scritto e per chi legge.
Leggendolo, ho visto quella finestra, dalla quale mi tengo lontano perché mi spaventa ma alla quale ho visto a lungo affacciate persone che conosco. L’aspetto che trovo sconvolgente, è proprio il fatto che non si occupi direttamente dell’inferno ma di quando si è davanti a quell’inferno; quando la finestra è aperta è sei lì, pronto ad affacciarti.
Sarebbero sufficienti poche circostanze avverse per finire seduti su quella sedia.
Rispondi