Marcel Janco, Abuse, 1943

Primo Levi: perché “può accadere di nuovo”

Primo Levi in una delle ultime pagine de I sommersi e i salvati ci ricorda:

È avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire. Può accadere, e dappertutto. Non intendo né posso dire che avverrà; [è poco probabile che si verifichino di nuovo, simultaneamente, tutti i fattori che hanno scatenato la follia nazista, ma si profilano alcuni segni precursori].

La violenza «utile» o «inutile», è sotto i nostri occhi: serpeggia, in episodi saltuari e privati, o come illegalità di stato (…). Attende solo il nuovo istrione (non mancano i candidati) che la organizzi, la legalizzi, la dichiari necessaria e dovuta e infetti il mondo. [Grassetto mio]

Pochi paesi possono essere garantiti immuni da una futura marea di violenza, generata da intolleranza, da libidine di potere, da ragioni economiche, da fanatismo religioso o politico, da attriti razziali. Occorre quindi affinare i nostri sensi, diffidare dai profeti, dagli incantatori, da quelli che dicono e scrivono «belle parole» non sostenute da buone ragioni.

Primo Levi, autore (tra gli altri) di Se questo è un uomo
Primo Levi

Tzvetan Todorov, in una prefazione a I sommersi e i salvati (si trova nell’attuale edizione Einaudi Super ET) scrive:

Perché questa pagina oscura del nostro passato deve essere ricordata? Perché le passioni e i comportamenti umani non cambiano mai radicalmente e dunque, anche se le istituzioni e le tecnologie si trasformano, la storia si ripete. Ora l’idea che momenti così desolanti possano ripetersi è per Levi insopportabile. […]

Levi pensa (e ha evidentemente ragione) non tanto a una ripetizione dell’identico, nell’avvento cioè di un regime nazista nel centro Europa, quanto piuttosto a una proliferazione di quei fattori che hanno reso l’orrore possibile – magari in altri paesi, sotto altro nome, con nuove giustificazioni, non raggiungendo lo stesso parossismo ma producendo, quantomeno, massacri e sofferenze senza fine. Contro questo propagarsi del male, pensa l’autore, il richiamo del passato può essere salutare: non bisogna stancarsi mai di ricordare l’orrore antico.

Dunque, ci ricorda Todorov – ed è peraltro evidente in tutto quello che Primo Levi ha scritto e detto nel corso della sua vita – per l’autore di Se questo è un uomo, la memoria non era solo l’evocazione, l’analisi e la chiamata in giudizio di un passato terribile.

Continua Todorov:

La semplice memoria del male non è […] sufficiente a prevenirne il ritorno; bisogna che il richiamo del male sia sempre accompagnato da un’interpretazione e da istruzioni per l’uso. […] Levi non si accontenta di rievocare gli orrori del passato, ma si interroga – a lungo, con pazienza – sui significati che tali orrori hanno oggi per noi; ed è proprio in questo atteggiamento verso il passato che sta la sua lezione più preziosa.

Levi è sempre stato un assertore convinto dell’unicità dell’universo concentrazionario nazista, “sia come mole sia come qualità”. Tuttavia la sua attenzione ai fattori che hanno reso possibile l’orrore lo rendeva sensibile a orrori di portata diversa, che contenevano “le sorgenti (o le metastasi) di quel male: meno eccezionali, ma all’improvviso onnipresenti”, come dice ancora Todorov.

La memoria, senza “istruzioni per l’uso” e senza il coraggio e la forza di applicarla al presente può diventare ingannevole, parziale, può essere manipolata, modificata, ricostruita. Todorov per esempio ricorda i resistenti e i combattenti francesi della Seconda guerra mondiale che avevano conosciuto gli orrori nazisti; eppure questo non ha impedito loro, dopo la Liberazione, quando occupavano posti di comando nell’esercito o nel governo, di reprimere nel sangue le richieste di più autonomia fatte dalle popolazioni delle colonie.

Indignarsi e rifiutare le nefandezze compiute anche nei paesi democratici – per esempio le pratiche illegali e crudeli nel trattamento dei prigionieri a Guantanamo; il respingimento dei migranti disperati o l’odio – che ha tutti i tratti del razzismo biologico – espresso nei confronti dei cittadini Rom da politici che siedono in istituzioni locali e nazionali – sarebbe un modo per usare in modo costruttivo la memoria della Shoah.

Senza pensare poi al modo in cui vengono calpestati i diritti di individui e gruppi in paesi come la Cina e la Russia di oggi, importanti partner commerciali, potenze politiche di grande rilevanza alle quali si perdonano leggi e pratiche di negazione di molti diritti umani.

Nessuna equivalenza dunque fra gli orrori nazisti (e staliniani) e gli attuali o del recente passato – anche se quanto avvenuto in Jugoslavia o in alcune regioni dell’Africa come il Rwanda o il Congo hanno mostrato tratti di crudeltà inauditi – ma grande attenzione a individuare e aggredire subito, appena si manifestano, le sorgenti del male.

Anche a questo serve la lezione impareggiabile di Primo Levi e dovrebbe servire la giornata della memoria.

———-

Di Tzvetan Todorov abbiamo parlato anche di In Memoria del male, tentazione del bene. Inchiesta su un secolo tragico (Garzanti).

Un ricordo di Tzvetan Todorov

LEGGI ANCHE –  Seconda guerra mondiale: lo sterminio di civili fra storia e memoria

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2 risposte a “Primo Levi: perché “può accadere di nuovo””

  1. “La memoria, senza “istruzioni per l’uso” e senza il coraggio e la forza di applicarla al presente può diventare ingannevole, parziale, può essere manipolata, modificata, ricostruita.”

    La frase stralciata dal post e riportata qui sopra (non ho capito se l’abbia scritta Levi, Todorov o Luiginter) sembra attagliarsi molto bene alla nostra memoria storica. Non è forse vero che, se tra le date importanti del nostro calendario civile possiamo annoverare anche la giornata della memoria, è solo perché nel relativo disegno di legge istitutivo non vi era traccia della responsabilità della RSI?
    Non è parziale e ingannevole una memoria che ometta di ricordare che le vittime della Shoah, che con questa commemorazione si vorrebbero ricordare, sono morte anche per mano italiana?

    Come ci insegnano i sociologi, la memoria storica tende ad essere celebrativa e rivendicativa, ricorda volentieri i torti subiti, ma raramente rammenta quelli inflitti. Che dire della nostra rimozione coloniale? Perché gli eccidi italiani in Africa, pur essendo approdati nei manuali di storia, non sono entrati nella nostra memoria collettiva? La proposta di istituire una giornata della memoria a ricordo delle vittime del colonialismo italiano, che io sappia, è caduta nel vuoto; in compenso l’Italia può vantare un monumento in onore di Graziani che, per quello che in Africa ha fatto, avrebbe dovuto essere giudicato per crimini di guerra. Non è questo frutto di ricostruzione e manipolazione della memoria?

    Quanto al monito di applicare la memoria al presente, è forse utile ricordare quanto ha scritto Paolo Jedlowski: perché si possa riconoscere un torto inflitto è necessario dialogare con l’altro, e perché ci sia un rapporto dialogico con l’altro, dobbiamo garantirgli la condizione di reciprocità. È proprio ciò che agli ex colonizzati non vogliamo concedere.

    Mariangela.

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