Come i genitori il campo davanti a casa, per vivere William Stoner ara il solco della letteratura inglese, anno dopo anno, sperando in una messe fertile. E come si asseconda il ritmo della natura, così Stoner accetta la diversità dei semestri, uno migliore, l’altro infruttuoso. Come sia riuscito, proprio lui, figlio di contadini, a diventare un professore universitario, non riesce a capirlo, e solo alla fine, esalando l’ultimo respiro, ne diventa cosciente:
Una morbidezza lo avvolse e un languore gli attraversò le membra. La coscienza della sua identità lo colse con una forza improvvisa, e ne avvertì la potenza. Era se stesso e sapeva cosa era stato.
L’unica educazione sentimentale che ha ricevuto è la tenacia unita a una resilienza che lo rende invincibile verso qualunque difficoltà. Supplisce infatti a una certa mancanza di intelligenza sociale (sposa una ragazza con evidenti problemi psichiatrici, ha due soli amici in tutta la sua vita, non riesce a instaurare nessuna relazione positiva con i colleghi) con un’assenza totale di risentimento. Il suo sguardo lucido, curioso, privo di ogni meschinità, rimane puro fino al giorno della sua morte. Incapace di odiare perfino Edith, che diventa una figura persecutoria già dalla loro luna di miele
Dopo, rimase steso accanto a lei, parlandole serenamente, da innamorato. Lei aveva aperto gli occhi e lo fissava nell’ombra. Il suo viso non aveva espressione. Poi, d’improvviso, scostò le coperte e corse svelta in bagno. Stoner vide la luce accendersi e la sentì dare di stomaco, con angoscia e violenza.
accettando la lenta e inesorabile corruzione della sua unica figlia che, per sfuggire alla pazzia della madre, ne ripercorre, come una maledizione, il tragico destino con la stessa ineluttabilità di un mito greco (un matrimonio combinato, un figlio abbandonato, la deriva nella malattia psichica e nell’alcolismo)
E Stoner alla fine capì che Grace, come gli aveva detto, era quasi felice nella sua disperazione. Avrebbe vissuto serenamente, bevendo sempre un po’ di più, anno dopo anno, per stordirsi e non pensare al nulla cui si era ridotta la sua vita. Fu lieto che avesse almeno quello, fu grato che potesse bere.
proseguendo l’insegnamento in università a testa bassa, nonostante la guerra personale con il direttore di Dipartimento Lomax distrugga ogni sua ambizione di carriera
Senza sorpresa, Stoner scoprì che per ognuno dei due semestri dell’anno accademico gli erano stati assegnati tre corsi di composizione per le matricole e uno di letteratura per gli studenti del secondo anno; le sue letture di approfondimento sulla letteratura medievale e il seminario per i dottorandi erano stati cancellati dal programma. Era il tipo di calendario, pensò Stoner, che avrebbe potuto aspettarsi un insegnante alle prime armi… Non sollevò alcuna rimostranza, determinato ad affrontare l’anno accademico come se niente fosse.
Perché Stoner accetta tutto questo? Perché è incapace di provare odio e rancore verso chi continua a fargli del male? Perché è un uomo che sa vivere il suo tempo, conosce il ritmo della natura, la finitezza delle cose, le piccole gioie del presente. Non c’è nessuna rassegnazione in lui, nessuna accettazione passiva ma solo una grande risolutezza, una serafica pazienza, un’atavica esperienza di come va il mondo. Perfino l’amore quando arriva, ed è un’esplosione dei sensi, una consonanza profonda e una dedizione assoluta, non lo coglie impreparato. Non ha paura. Ne sente, anzi, tutta la portata rivoluzionaria:
Era un mondo in penombra quello in cui vivevano e portavano la parte migliore di se stessi e, dopo un po’ di tempo, il mondo esterno, in cui gli altri parlavano e camminavano, in cui c’erano cambiamenti e movimenti continui, finì per sembrargli falso e irreale… Volevano solo che li lasciassero in pace, liberi di essere se stessi.
E non viene assalito dai sensi di colpa né da remore perbeniste, no di certo:
Solo con un grande sforzo di volontà riusciva a ricordarsi che stava tradendo Edith… Tale rapporto, secondo “l’opinione condivisa”, avrebbe dovuto peggiorare costantemente con il procedere di quella che l’opinione condivisa avrebbe definito una “relazione extraconiugale”. Invece, non era così. Al contrario sembrava costantemente migliorare… Cominciò a nutrire per sua moglie un amichevole riguardo che era assai vicino all’affetto e, di tanto in tanto, riuscivano perfino a parlare del più e del meno.
Ma ne percepisce anche l’estrema fragilità, e la consistenza passeggera, destinata, come un ciclo naturale, a dissolversi.
Non è la paura dello scandalo o di quello che potremmo soffrire, tu e io. Non sono le difficoltà che dovremmo attraversare e nemmeno l’eventuale perdita di ogni affetto. È la paura di distruggere noi stessi e tutto quello che facciamo. Lo so, disse Katherine.
Stoner, e già il nome, come ci avvisa Peter Cameron nella bella postfazione avrebbe dovuto fornirci qualche indizio (stone, pietra), a dispetto della sua vita e del suo destino, è un uomo forte, e resiliente, soprattutto per un motivo: per il carattere impersonale che riesce ad attribuire agli eventi e allo scorrere della sua vita. E al suo senso ultimo, che appunto è comune a quello di tutti:
Si ritrovava a chiedersi se la sua vita fosse degna di essere vissuta. Se mai lo fosse stata. Sospettava che alla stessa domanda, prima o poi, dovessero rispondere tutti gli uomini. Ma si chiedeva se, anche agli altri, essa si presentasse con la stessa forza impersonale. La domanda portava con sé una certa tristezza, ma era una tristezza diffusa che (pensava) aveva poco a che fare con lui o con il suo destino particolare. Non era neanche sicuro che essa sorgesse dalle cause più ovvie e immediate, ovvero da ciò che la sua vita era diventata. Sorgeva, secondo lui, dall’accumularsi degli anni, dalla densità dei casi e delle circostanze e dalla comprensione che era riuscito ad averne. Provava un piacere triste e ironico al pensiero che quel poco di conoscenza che si era conquistato l’avesse condotto a tale consapevolezza e che alla lunga tutte le cose – perfino ciò che aveva imparato e che gli consentiva quelle riflessioni – erano futili e vuote, e svanivano in un nulla che non riuscivano ad alterare.
John Williams, Stoner, Fazio editore
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