Pubblico con molto piacere questi pensieri della nostra Polissena su un libro che ha lasciato il segno. Sono orgoglioso che abbia accettato di far diventare queste sue parole un vero post. Mi sembra un buon modo per dare più forza al blog: altri frequentatori – per esempio quelli che solitamente lasciano i loro commenti – che volessero ripetere l’esperienza di Polissena sarebbero i benvenuti.
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di Polissena
Avrei voluto parlare di Buongiorno Los Angeles (Tea; originale: Bright Shiny Morning), di James Frey prima che il 2013 finisse, ma la consideravo un’impresa difficile, data la vastità e la particolarità dell’opera, talmente difficile che ho esitato fino ad oggi.
D’altra parte, mi faceva piacere che il mio entusiasmo fosse condiviso, pur temendo che non lo fosse. Insomma eccomi qui, dopo questo goffo preambolo, totalmente innamorata di James Frey.

È uno scrittore americano, tanto osannato quanto controverso in patria, sebbene lo stesso Guardian lo consideri uno dei migliori degli ultimi anni.
In Buongiorno Los Angeles è la stessa città a divenire un personaggio che accoglie senza sosta chi cerca successo, chi cerca libertà, chi denaro, chi fugge, chi si accontenta di un po’ di speranza e di un giorno di vita in più e perfino chi si mimetizza tra gli altri, pronto a distruggerli se così gli verrà ordinato.
Frey inizia la storia dal primo sparuto gruppo eterogeneo di 41 individui che nel 1781 fondano una colonia che chiamano El Pueblo de la Iglesia de Nuestra Señora la Reina de Los Angeles de Porciúncola.
Da questo momento Frey alterna brevi notizie sullo sviluppo della città che si allarga a vista d’occhio, a una infinità di storie di altrettanti personaggi che arrivano ad accrescere il nucleo primitivo, nonostante le difficoltà e il gran numero di calamità naturali che flagellano periodicamente la zona.
Quattro sono le storie che Frey segue fino alla fine, quella di Dylan e Maddie, una coppia di adolescenti che fuggono dalle loro terribili famiglie per cercare una vita migliore insieme; di Esperanza che la madre ha partorito appena superato il confine con il Messico e che, per questo motivo, è americana; di Old Man Joe, un barbone che dorme nel gabinetto di un bar e che, quando all’alba deve lasciarlo libero, va a stendersi sulla spiaggia e, bevendo chablis, aspetta dal cielo sopra di lui una risposta che non arriva; e, infine, di Amberton, ricchissimo e famosissimo attore di pessimi film, con moglie bellissima e tre figli, etero in pubblico e privatamente omosessuale.
Accanto a queste quattro vicende, tanti piccoli flash, brevi storie riassunte in poche parole, il sogno americano quasi sempre distrutto da delusioni, crudeltà, violenza e, talvolta, anche se raramente, sprazzi di tenerezza e generosità.
James Frey maneggia questo vastissimo materiale con grande abilità narrativa, con uno stile personale, scarsa punteggiatura, niente virgolette nei dialoghi ridotti all’essenziale, senza fronzoli e usando quasi sempre il tempo presente.
Di Los Angeles ormai sappiamo tutto, ci attira e ci spaventa, ci affascina e ci allontana, ci fagocita e ci respinge, a volte ci uccide, ma per tutto il libro l’abbiamo sentita viva e vibrante respirare di tanti respiri.
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