Riferire in un po’ di righe gli intricati percorsi di lettura espressi da un gruppo che ha deciso di condividere un libro è un esercizio “pericoloso” per l’obiettività, specie quando il libro è controverso.
E la lettura che di Città aperta (Einaudi) di Teju Cole ha fatto il Gruppo di lettura di Cologno è stata certamente controversa.
Al punto che qualcuno ha voluto trovare un punto di sintesi, in una mappa di argomenti assai intricata, dicendo che, in fondo, il fatto più interessante della discussione fosse stato proprio la differenza di impressioni ricevute dalla lettura, situazione che non sempre si crea: ad intendere: “di solito siamo più concordi e il dibattito è meno acceso”.

Ma in fondo era inevitabile che il libro di Cole suscitasse controversie. Provo a elencare i diversi pareri (tralascio volutamente l’autore del pensiero, anche perché a volte è un pensiero con più di un autore):
– È un libro che non si presta a essere raccontato, per questo ci disorienta: l’assenza di una storia con un arco narrativo spiazza chi “legge per la trama”.
– È un libro che sconcerta: presenta argomenti, luoghi, situazioni che vengono presto abbandonati, senza essere sviluppati, senza essere collocati al loro posto.
– Appunto: uno dei meriti del libro è proprio il suo sviluppo quasi diaristico e da memoir-fiction, l’assenza della certezza di un narratore che pretende di mettere ordine. Un narratore dallo sguardo limitato e finito, senza lo strapotere del narratore che guida tutti gli elementi del suo racconto.
– La frammentarietà però, qualcuno osserva, lo fa correre come l’acqua sulla roccia: passa e pare non lasciare traccia.
– Forse è solo necessaria una lettura più lenta, più attenta ai dettagli, all’andatura, ai temi che introduce. Una lettura che cerca “la trama” si perde il resto: e scrivere all’inizio del XXI secolo non può più essere una tranquilla e ordinata costruzione di una trama (Cosa del resto che i grandi autori sanno benissimo – da Proust e Musil, fino a DeLillo – per citarne alcuni soltanto). E anche una lettura all’inizio del XXI secolo forse dovrebbe – almeno in alcuni casi- sforzarsi di cercare quel che l’autore vuole dire, anche in assenza di plot.

– Certo: riflessione quasi saggistica; siamo d’accordo: ma se perdi il filo della scrittura ti perdi anche il lettore che non segue più l’autore nelle sue riflessioni, che, appunto, rischiano di essere solo sue.
– Quindi Cole, secondo i più critici, non ha forza di scrittura e di struttura all’altezza delle sue ambizioni.
– Sì, soprattutto per chi ha preso sul serio i paragoni con W.G. Sebald.
– Eppure, il romanzo (perché questo è un romanzo) è talmente ricco di coraggio formale, di coraggio tematico che merita una lettura più attenta alle riflessioni e meno ai legami fra le parti del libro.
– È un po’ una fissazione mia: spesso i lettori apparentemente più consapevoli e “forti” sono anche lettori frettolosi. Cercano nel libro che hanno davanti esattamente quel che pensano che in quel libro ci sia. Servirebbe uno sguardo insieme più ingenuo e più disponibile al contesto nel quale l’autore decide di collocarsi. Contesto storico ma anche geografico.
Qualche tema di **Città aperta**:
New York City
Malinconia
Solitudine e introspezione
Meticciato
Schiavitù
Africani a NYC
Islam radicale
Perdita affetti
Flusso di pensieri
Straniamento
Musica classica
Arte
Fotografia
Cimici
Camminare
Flâneur
Psichiatria
Morte
Memoir
Diario
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