
Ok, confesso che ho letto questa autrice perché consigliata da Baricco nella rubrica Una certa idea di mondo su Repubblica. O meglio, lui consigliava La trilogia Adamsberg, ma mio papà aveva già in casa Parti in fretta e non tornare, e ho iniziato da quello (peccato che sia l’ultimo della trilogia, ma pazienza, me ne sono accorta a libro già iniziato). Anni fa avevo letto un libro della Vargas, non ricordo neanche quale, e non mi era piaciuto, proprio per niente. Però un po’ la suggestione di Baricco, un po’ che mi stavo preparando a un weekend lungo a Parigi, mi sono convinta.
E Parti in fretta e non tornare non mi ha delusa, anzi, mi è piaciuto molto. Per le atmosfere parigine, perché Adamsberg e i suoi aiutanti mi stavano simpatici, perché la storia dell’ex marinaio bretone che riscopre la professione di bando mi ha intrigata, perché rispetto ai gialli e noir a cui sono abituata, mi ha portato una ventata di originalità.
A onor del vero, però, aggiungo poi che, fra quando ho iniziato a scrivere questo post e quando l’ho finito, ho letto L’uomo dei cerchi azzurri, sempre edito da Einaudi. Se non fosse che l’ho letto durante il soggiorno a Parigi (quindi ero molto presa), il giudizio sarebbe molto più negativo. Mi ha stancata, Adamsberg è arrivato a innervosirmi, con le sue intuizioni sempre azzeccate, ma senza un fondo di logica. Intuizioni, appunto. Ma se non avesse quel sesto senso, come risolverebbe le indagini? Ok, forse non dovrei leggere i libri di Fred Vargas per scoprire l’assassino, ma per le atmosfere e la scrittura, che fra l’altro erano proprio il motivo per cui piaceva a Baricco, altrimenti nemico di gialli, thriller & company.
Scrive proprio Baricco (dopo una lunga premessa sul suo odio per gialli eccetera di cui sopra):
Resta solo da capire come mai allora si stia parlando di Fred Vargas, oggi, in questa pagina. La risposta più semplice è: lei scrive così bene. Posso tranquillamente distrarmi dall’intreccio, che mi accorgo potrebbe essere mozzafiato, e godermi il panorama: quei dialoghi perfetti, la comicità elegante, gli aggettivi scelti con cura, il ritmo della frase, l’assoluta assenza di soluzioni banali. […] No, dico, ma cos’è Adamsberg? Il suo modo di amare Camille, i due orologi, la cattiveria intermittente. Uno la cui risposta preferita è: “non so”. Mi fa impazzire quella sua arte del tempo vuoto, il talento nello strappare parentesi di nulla alle sue giornate: chi è capace di quel vuoto, lo sa usare, ed è il suo caso.
Salvo giusto l’aiutante di Adamsberg, Danglard, che invece in entrambi i libri mi ha catturata e mi è stato proprio simpatico. Alla fine, sono giunta alla conclusione che Fred Vargas non è un’autrice che fa per me. Io sono per personaggi più concreti rispetto ad Adamsberg. Un giallo si risolve mettendo insieme indizi e facendo indagini. Oppure, ancora meglio, i toni diventano noir, e l’indagine non conta nulla, ma c’è uno sfondo sociale concreto e reale.
Cosa ne pensate voi?
*giuliaduepuntozero
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