
Ormai era da più di un mese che Ernesto non faceva l’amore con me. O forse due. Non so. Non che mi importasse poi tanto. Arrivo alla sera stanca morta. Non sembra, ma le faccende domestiche – se vuoi che tutto sia perfetto – ti sfiniscono. Fosse per me, testa sul cuscino e dritto nel mondo dei sogni. Eppure una donna lo sa, se tuo marito non ti cerca per tanto tempo… non so, si sentono tante cose. Dovrei parlarne con Ernesto, pensavo, chiedergli se ha qualche problema. Stavo per farlo. Ma dopo mi sono detta, e se poi mi capita come alla mamma, che si è fregata con le sue mani? Vedeva il papà un po’ strano e un giorno gli ha chiesto: “C’è qualcosa che non va, Roberto?”. E lui: “Sì, c’è che non ti sopporto più!”. E se n’è andato così, su due piedi, sbattendo la porta: non l’abbiamo più rivisto. Povera mamma. E poi, un’idea di che cosa stesse succedendo a Ernesto ce l’avevo. Lavorava come un matto tutto il giorno, e quando aveva un minuto di libertà si iscriveva a qualche corso, studiava sempre qualcosa; come si fa a non arrivare la sera stanco morto? Però mi sono detta: “Io non gli faccio certo domande, dopotutto ho due occhi per vedere e una testa per pensare”. E quello che vedevo era che avevamo una famiglia fantastica, una figlia che stava per finire le superiori, una casa che avrebbe fatto invidia a chiunque.
Inizia così Tua, ed. Feltrinelli, di Claudia Piñeiro. Voce narrante Inés, una desperate housewife argentina (mi ha ricordato spesso Bree della serie televisiva), che di punto in bianco si accorge che la sua famiglia non è così perfetta ed Ernesto non è così stanco, quando trova nella borsa del marito un bigliettino con un cuore disegnato col rossetto, trafitto dalla scritta Ti amo, e firmato: Tua. Inizia così una caccia all’uomo – o meglio all’amante – da parte di Inés, che dapprima segue il marito in un incontro notturno con la donna, poi lo vede ucciderla per sbaglio in un accesso d’ira, successivamente nasconde qualsiasi prova e organizza un alibi per il marito, infine in un rocambolesco ribaltone si trova lei stessa a rivestire i panni dell’assassina.
La narrazione in prima persona è una tecnica riuscitissima in questo romanzo-psico-noir, intervallata da capitoli che staccano aumentando la suspance ed evidenziando le capacità narrative dell’autrice: le telefonate della figlia Lali con le amiche, alle prese con un problema enormemente più grande di lei di cui i genitori non si accorgono, così presi da ripicche, alibi, omicidi; gli incontri della stessa Lali con degli sconosciuti, le uniche persone a cui confida quello che le sta succedendo; i referti dell’anatomopatologo, che con uno stile scientifico distaccano dalla scena.
Avvincente, sorprendente, breve, da leggere in una notte, come ho fatto io.
*giuliaduepuntozero
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