
Dal 2002 La versione di Barney era nella mia libreria in attesa di essere letto, ma c’era sempre qualcosa che mi attirava di più e così solo ora mi sono decisa, forse sollecitata dall’uscita del film, che la critica unanime ritiene molto ben confezionato. E così sin dalle prime pagine questo romanzo mi ha coinvolto e, nonostante la lunghezza (pp 490) una settimana dopo era già terminato con in mezzo anche la visione del film, uscito il 14 gennaio.
Prima di Barney l’autore, Mordecai Richler (1931-2001), canadese ebreo anglofono, aveva scritto altri romanzi non di successo e si era fatto conoscere come sceneggiatore. Anche per la televisione. Nato in una famiglia ebrea ortodossa, in cui si parlava solo yiddish,e che voleva fare di lui un rabbino, da adolescente prende le distanze dalla fede e a 19 anni è a Parigi, dove frequenta scrittori come Allen Ginberg, si nutre di letteratura e di comunismo, va in Spagna interessato alle Brigate internazionali. Per 20 anni è a Londra, ma poi torna nel Quebec, che è la provincia francofona del Canada, dove ci sono fermenti indipendentisti, che si colgono qua e là anche nel romanzo.
La versione di Barney è un lungo monologo in cui Barney Panofsky, quasi settantenne, decide di ripercorrere la sua vita dissennata e ne viene fuori un libro irresistibile, che ti fa spesso ridere o sorridere, ma anche commuovere, soprattutto nella parte finale. Non è un’autobiografia, anche se l’autore ha dichiarato che è il più autobiografico dei suoi libri, ma suo padre non era un poliziotto, non c’è stata per lui nessuna accusa di omicidio, né si è sposato tre volte. Nelle ultime pagine si compiacerà di aver scritto una discreta vaccata… un fantastilione di parole
Barney dichiara di volersi raccontare perché deve difendersi dall’accusa di avere ucciso Boogie, il suo migliore amico, come sostiene un altro scrittore canadese, Terry McIver, rivale e amico dei pazzi anni della bohème parigina, trascorsa “nell’anarchia più assoluta”con “un gruppo di sciammanati”, “un’accozzaglia di giovani scrittori arrapati senza un soldo e subissati da lettere di rifiuto”… “noi provinciali d’assalto, pazzi di felicità per il solo fatto di essere a Parigi”.
Tutta colpa di Terry. E’ lui il mio sassolino nella scarpa . E se proprio devo essere sincero è per togliermelo che ho deciso di cacciarmi in questo casino, cioè di raccontare la vera storia della mia vita dissipata
Ed è questo l’incipit del romanzo, diviso in tre parti che corrispondono ai tre matrimoni, anche se poi non si procede in ordine cronologico, ma è un continuo andare avanti e indietro, caotico, una vera apologia del disordine, con divagazioni d’ogni genere, citazioni letterarie, flash-back.
Cerco di mettere un po’ d’ordine nella mia vita buttandola tutta all’aria. Sto divagando lo so…ma questa è la mia storia ed è anche l’unica che ho, quindi se non vi spiace voglio raccontarla a modo mio. E adesso vi beccate un’altra piccola digressione, una di quelle che il giovane Holden chiamava baggianate…
Il romanzo procede tra parolacce, sberleffi, battute feroci contro tutto e tutti: “Ha un grumo di rabbia al posto del cuore. C’è chi colleziona francobolli o scatole di fiammiferi, tu collezioni rancori” dice Miriam, la terza moglie. E se la prende con gli ebrei osservanti, con i separatisti canadesi francofoni, i benpensanti,le nazifemministe, le lesbiche, i fanatici salutisti, i vegetariani ecc. ecc.
Un po’ alla volta viene fuori il ritratto di un Barney, con la passione per l’hockey, che fuma continuamente i suoi Montecristo e che, dissacrante, cinico, frustrato, disturbato, tra una bevuta e l’altra cita Bellow, autore che ama molto, Updike, Huysmans, Celine e tanti altri. Più volte si autocritica, definendosi “un ruffiano che ha fatto i soldi con la TV spazzatura”.
Certamente nel caos degli argomenti rievocati un posto centrale occupano le sue tre mogli: l’rrequieta, nevrotica Clara (1950-52), pittrice, “di conturbanti tele astratte” che, morta suicida, “è diventata un santino femminista, una martire immolata sull’altare del più bieco sciovinismo maschile”, “la seconda signora Panofsky” (1958-60), “la virago, la bomba a orologeria” che non ha neppure un nome e infine Miriam (1960), di cui si innamora il giorno del suo secondo matrimonio. “Miriam, la mia adorata Miriam”, come ripete spesso nel romanzo. Anche Miriam , “il mio terno al lotto, il mio Oscar, la mia redenzione”, dopo 31 anni di matrimonio felice e tre figli, lo abbandona, dopo un tradimento quasi involontario di Barney, che, dopo il divorzio, può solo ascoltarla alla radio e registrarla, “fingendo che la voce non venga dalla radio, ma dal bagno”.
Al Barney della vita dissipata e profondamente scorretta si alterna il Barney ormai vecchio, “rinsecchito, con l’uccello che sgocciola”, dalle ossa fragili, operato all’anca, che non ricorda tutti i nomi dei sette nani o quel coso che è poi il mestolo, che diventa come il simbolo della sua smemorata vaghezza . Il logorroico, corpulento, antipatico, acido, villano, rude Barney decrepito e arteriosclerotico fa tenerezza, ha qualcosa di più umano, di più vero, di malinconico, diventa quasi un personaggio romantico. Con Barney si familiarizza sin dalle prime pagine… Insomma è un personaggio che, come qualcuno ha scritto, almeno una volta nella vita avresti voluto incontrare o, come dice Christian Rocca, giornalista del Sole 24ore: “Non ho mai incontrato Barney, eppure mi sembra di avere fatto il militare insieme”.
Ho visto volentieri il film, quando non avevo ancora terminato la lettura e mi ha aiutato a leggere l’ultima parte, anche perché è la più fedele al romanzo. La prima parte (del film) l’ho invece trovata meno convincente, per la difficoltà di sintetizzare tante vicende e tanti personaggi. Forse un po’ troppo folkloristica e chiassosa. Come il secondo matrimonio che nel romanzo è una delle parti più esilaranti. Chissà perchè nel film la Parigi degli anni cinquanta diventa Roma? Splendida la figura del protagonista e della tenerissima Miriam, che è proprio la mia “adorata Miriam.”

Molti frequentatori di questo blog hanno letto prima di me “La versione di Barney” e a loro chiedo: che cosa ne pensate della realizzazione cinematografica, pregi e difetti. Vi pare rispetti lo spirito del romanzo… Barney lo immaginavate proprio così o diverso?
Vi invito a confrontare l’ultima scena del film e le parole scritte sulla tomba di Mordacai, che è morto nel 2001, e di sua moglie: “Così potremo stare vicini nella morte come siamo stati felicemente vicini nella vita”
Mordecai Richler, La versione di Barney, Adelphi, 1997/2000, pp 490
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