Non ho mai visto Lost, ma mi risulta che sia un serial televisivo dai costi altissimi, capace di interessare anche 16 milioni di spettatori e soprattutto capace di spostare un discorso importantissimo del presidente Obama, per evitare una sovrapposizione.
Mi risulta che in questo serial, che appassiona i cittadini di tutto il mondo, si narri di un aereo che naufraga in un’isola tropicale dell’Oceano Pacifico, ma questo è esattamente anche ciò che racconta in Prigionieri del Paradiso Arto Paasilinna (nella foto [Blackarchives], linkata da Panorama Libri).
Sembrebbe che lo scrittore finlandese con poca originalità si sia lasciato andare sull’onda di un successo televisivo e, invece,si scopre subito dopo che, anche se Iperborea ha pubblicato a fine 2009 questo romanzo, in realtà il romanzo è del 1974, anteriore quindi anche al più famoso Anno della lepre.
E’ vero che ci sono antecedenti ancora più famosi come il Robinson Crousoe del 1719 o Il signore delle mosche di William Golding del 1954, ma oggi viene più spontaneo pensare a Lost e ribadire che il libro di Paasalinna ne ha anticipato il tema di ben trenta anni.Un reality show ante litteram, così di moda oggi? Argomento comunque non originale , ma affrontato con la solita freschezza e con quel piglio tra l’ironico e sarcastico tipico del finlandese.
34 brevi capitoli per narrare l’ammaraggio di fortuna al largo della Melanesia in un’isola tropicale di un aereo, che aveva a bordo una missione Onu: infermiere svedesi, taglialegna e ostetriche finlandesi, medici norvegesi, piloti e hostess inglesi. Il narratore si presenta subito nella prima pagina:
sono un giornalista. Il classico tipo finlandese: educazione mediocre, ambizioni limitate, una giacca lisa e un carattere grigio. Ho superato la trentina. Sono un individuo di una banalità disarmante e la cosa spesso mi irrita.
Anche lui con una cinquantina di persone è su quel aereo che si perde per il sopraggiungere di una tempesta in mezzo al Pacifico. Dapprima solo” in cravatta inzuppata d’acqua e di sabbia…morso dalla fame e per giunta senza sigarette” sulla spiaggia di un’isola, ma poi si ritroverà con gli altri profughi come lui: 48 persone, 26 donne e 22 uomini, personaggi picareschi con cui vivrà per ben 9 mesi.E’ un insieme curioso di persone, tutti nordici
l’aereo era stato affittato dall’Onu per trasportare merci e passeggeri.La FAO e l’OMS avevano ingaggiato scandinavi..per delle missioni di sostegno allo sviluppo. I taglialegna avevano il compito di contribuire alla nascita di una industria del legno nelle regioni interne dell’India…anche il personale medico era diretto in India e nel vicino Bangladesh..le infermiere svedesi… per garantire istruzione e prevenzione..le ostetriche finlandesi per insegnare i metodi di controllo delle nascite. Per questo nella stiva dell’aereo c’era qualche milione di spirali intrauterine… e altrettante pillole anticoncezionali… l’incidente aereo era dunque un’autentica sciagura che si sarebbe tradotta in migliaia, se non milioni di gravidanze indesiderate.
E invece, per risolvere i problemi della fame, ecco che le casse di spirali si trasformano in aghi e ami da pesca, ma continuano anche a conservare la loro funzione originaria, perché dopo una settimana sull’isola nascono attrazioni sessuali e sarà necessario aprire nella giungla un centro di pianificazione familiare: gravidanze indesiderate sarebbero state un vero problema in un’isola deserta. E così su spiagge bianchissime o nel folto della giungla tra alberi di mangrovie, tra il canto degli uccelli e lo schiamazzo delle scimmie ecco che i nostri picari nordici si trovano a darsi un organizzazione efficiente per sopravvivere e rendere quel territorio sempre meno selvaggio e inospitale. E così un po’ per volta l’isola, nonostante qualche terribile uragano, diventa sempre più un “locus amoenus“, un paradiso in cui è bello sentirsi prigionieri.
Non è un ritorno allo stato di natura di russoviana memoria, ma un luogo in cui, al di là della bellezza della natura, con certi espedienti si attrezzano non solo consultori, ma anche un frigorifero ispirato alle conoscenze giovanili degli scout, distillerie, un bar, in cui si beve con moderazione e una sauna. Quello che importa è che questo gruppo di uomini e donne riesce a darsi una organizzazione democratica in cui anzi c’è più giustizia che non nei paesi nordici di provenienza, in cui si è più liberi da costrizioni occidentali o dai rigidi costumi protestanti.
E’ vero che un po’alla volta si scopre che l’isola è al centro di un teatro di guerra e che c’è persino un cannone, un pezzo di artiglieria giapponese,rimasto lì dalla seconda guerra mondiale, ma è piacevole assistere al formarsi di una società veramente socialista, in cui fondamentale è la solidarietà, in cui il lavoro è spartito equamente, il governo è eletto democraticamente, c’è …una casa ..per tutti, assistenza sanitaria ecc.ecc. Il tutto raccontato più che in modo idilliaco con ironia, con humor disincantato, anche se chi conosce bene tutti i romanzi di Paasalinna afferma che in questo caso l’ironia o il sarcasmo sono meno pungenti.
Ripensando a Robinson Crusoe qui c’è un ribaltamento del romanzo di Defoe, perché il naufrago è sì l’Homo faber, il prototipo del self-made, ma non l’ homo economicus, futuro capitalista, che sopravvive nell’isola trasformandola e colonizzandola, incarnazione dell’ambiguità del progresso che porta civiltà ma anche dominio, libertà ma anche nuove schiavitù.
Non un naufrago, che si affianca a Venerdì, ma una comunità di circa 50 uomini che costruisce una utopica società socialista più avanzata di quella dei paesi scandinavi.Anche in questo romanzo non manca una specie di Venerdì, che era stato “un militare dell’esercito governativo indonesiano… partigiano di Sukarno”, ma lo troveremo implicato in storie sentimentali con la signora Sigurd, proprio con il personaggio più antipatico del romanzo per il suo rigido moralismo.
Comunque nonostante tutti i vantaggi di una società socialista i nostri naufraghi si organizzeranno per tornare a casa e si divideranno in due gruppi: chi vuole tornare e chi vuole rimanere prigioniero del paradiso. Per taluni perché “tornare in un mondo dilaniato dalle guerre per farci tartassare dal fisco, comprare prodotti costosi e superflui, beccarci un bel cancro ai polmoni o qualche altra malattia, ascoltare le continue lamentele delle nostre mogli sulle loro gambe gonfie e sulle montagne di panni da lavare?… Perché ritornare in un’Europa inquinata a pagare le tasse, lottare per lo spazio vitale, consumare beni superflui e litigare con il capo per uno stipendio da fame?”
Tutti, più o meno forzatamente ,sono alla fine tornati a casa, anche il giornalista narratore e le utime parole del romanzo sono “Quanto a me continuo a trascorrere in Finlandia la mia vita futile e spensierata”.
Prigionieri del Paradiso è dunque un romanzo di piacevole, facile e rapida lettura da alternare a romanzi più problematici e profondi e che magari, come nel mio caso, ti fa venire la voglia di rituffarti nella lettura di un classico come il Robinson Crusoe di Defoe!
Arto Paasilinna, Prigionieri del Paradiso, Iperborea , 1974/ 2009, pp.199
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