Manuel Rivas (A Coruña 1957), I libri bruciano male, Feltrinelli.
Ci sono due grandi buoni motivi per leggere questo libro:
-il primo per quanto è dentro il libro;
-il secondo per il tipo di lettura che pretende o ci impone.
Quando ne abbiamo parlato, al gruppo di lettura di Cologno Monzese, tutti i lettori hanno espresso quasi stupore per la ricchezza, l’eccesso di storie, personaggi, luoghi, temi. Non è un libro riassumibile e tanto meno un libro che si possa contenere in una definizione.
La ragnatela (di senso e storie) mi pare la metafora più adatta per provare a rappresentarlo.
In un vago e impreciso centro sta l’evento shock, ad A Coruña in Galizia – evento concreto e simbolico – della guerra scatenata dai golpisti di Franco contro la Repubblica: agosto 1936, i falangisti bruciano migliaia di libri, in città, in particolare sulla darsena del porto.
Da questo atto e da tutta l’infinita serie di violenze e omicidi che i fascisti scatenarono in città, Rivas tesse la sua tela sterminata, piena prima di tutto di personaggi: ottanta, tutti elencati nelle pagine iniziali per facilitare l’orientamento del lettore.
Son personaggi che ci restituiscono la vita della città e di quel mondo: pugili, poeti, cantanti, lavandaie, faccendieri, poliziotti, giudici, marinai, fotografi, bibliofili nazisti, pittrici, maîtresse. Alcuni meravigliosamente ambigui, ricordo solo Chelo Vidal, la pittrice, moglie del giudice Samos (il bibliofilo nazista), così vicina al potere fascista e così intimamente lontana: personaggio ambivalente, impossibile da giudicare, forse addirittura da comprendere.
A questi ottanta personaggi vanno aggiunti decine e decine di luoghi di A Coruña, che, ciascuno a suo modo, quasi assumono lo status di personaggi a loro volta; e a questi vanno poi aggiunti gli oggetti, i libri soprattutto, ma non solo, con la forza e la vitalità delle persone.
Una ragnatela si diceva: perché la struttura del romanzo, articolata in capitoli di lunghezze assai diverse, non ha mai sviluppi temporali lineari, si viaggia avanti e indietro nel tempo: indietro fino al 1881 e avanti fino e oltre gli anni ’60; con pochi avvertimenti al lettore. La cui attenzione è tenuta desta anche dai continui cambi della voce narrante: voce narrante che in alcuni capitoli riusciamo ad attribuire a qualcuno dei personaggi solo dopo qualche pagina, richiama eventi accennati o raccontati parecchie pagine prima, quasi sempre lasciati “aperti”, senza conclusioni; oppure raccontati in modo oscuro prima nelle conclusioni e poi chiariti nella presentazione degli antecedenti.
Un romanzo di 570 pagine che per essere letto unendo i fili della ragnatela impone sempre una lettura con una matita a portata di mano, per segnarsi i promemoria, per marcare i rimandi da un evento a un altro, da un personaggio alle sue vicende precedenti o successive, riprese decine e decine di pagine dopo.
Un romanzo con molti temi, fra i quali, più ampi ed evidenti:
– la storia di Spagna, tagliata in due dal Golpe fascista del 1936 contro la Repubblica e il suo governo eletto con libere elezioni; con la repressione successiva e la crudele anestesia di ogni fermento civile e democratico nei decenni a seguire. Il risentimento del potere falangista che si accanisce, fino a cancellare fisicamente le persone e la loro memoria: come accade, in alcune fra le pagine più commoventi de I Libri Bruciano Male, con Santiago Casares, uomo di lettere e ministro repubblicano, del quale viene addirittura cancellata ogni traccia sui registri dell’anagrafe.
– I libri: simboli di democrazia e libertà – l’odore dei libri che bruciano sulla darsena, raccontato da Rivas, lascia un ricordo incancellabile; ma anche i libri amati da chi ha deciso di bruciarli, da chi tortura o giustifica con argomenti giuridici chi li brucia e tortura gli oppositori (il giudice Samos con il suo culto del giurista nazista Carl Schmitt è fra le figure più forti dell’intero romanzo).
– le parole, la lingua, il loro potere, la loro forza liberatoria ma anche ambigua.
E ora il secondo dei due grandi buoni motivi per leggere questo libro:
il secondo ha a che fare con il tipo di lettura che impone: è un libro lungo, frammentato, spezzato, che spesso richiede la rilettura di passaggi situati troppo indietro per poterli collegare con precisione a ciò che si sta leggendo; che richiede una lettura lenta e attenta. Un libro che spesso dà l’impressione di essere in eccesso, di non saper controllare tutti i personaggi.
Nella lettura del libro mi sono spesso tracciato, nella pagina di apertura dei capitoli, una sorta di mappa con l’indicazione di chi fossero i personaggi coinvolti e chi fosse la voce narrante, e spesso anche con l’indicazione di altre pagine alle quali fare riferimento per collegare episodi.
Insomma, un libro imperfetto ma necessario, una lettura “difficile”, lunga e prolungata. Che rifiuta la tranqullizzante fluidità della lettura da accumulo di pagine, la lettura da “decine e decine di libri all’anno”. Una lettura che rispetta il lavoro dello scrittore, una lettura che forse non sappiamo più “imporci”.
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