In passato mi è capitato di leggere molti romanzi ambientati in Usa, ma i cui protagonisti erano soprattutto indiani più o meno integrati nella società americana, è stata invece una sorpresa, leggendo Chicago di Ala Al Alswani, il ritrovarmi in una Little Egypt americana, perché i tanti personaggi che affollano il romanzo sono egiziani, per lo più professori o laureati che con borse di studio si sono trasferiti nella grande e importante università dell’Illinois, per conseguire il dottorato. Qualcuno è anche in fuga dall’Egitto per motivi politici. Il campo si restringe ancora se di quella università in particolare si fa riferimento alla facoltà di medicina e al dipartimento di istologia.
Ala Al –Alswani ha scritto questo secondo romanzo, dopo il grande successo di Palazzo Yacoubian, per aver fatto esperienza diretta di Chicago e della sua università, perché lui stesso negli anni ottanta ha vissuto per due anni in questa città, per completare gli studi di odontoiatria.
Ed allora ,scoperto che negli Usa della cultura egiziana erano note solo le Piramidi e che gli egiziani andavano sul cammello, è nato il desiderio di mettere in scena a Chicago questa piccola comunità egiziana con tutte le sue ambiguità e pregiudizi, soprattutto se il tempo della storia è posteriore all’11 settembre, in tempi cioè in cui arabo è diventato sinonimo di terrorista
Mi è già capitato in questo blog di parlare di Palazzo Yacoubian e di provare interesse per questo scrittore, di cui ammiro soprattutto il coraggio di scrivere romanzi che si possono considerare politici, perché attraverso la varietà e le storie quotidiane dei personaggi ci dà un serio ritratto della società egiziana.
Siamo negli Usa, ma si parla con coraggio e senza ipocrisia dell’Egitto Ho trovato interessante scoprire che questo romanzo , come i feuilleton ottocenteschi, è stato pubblicato prima in Egitto a puntate sul principale giornale dell’opposizione Al-Dustour.
Del resto è noto che Al Aswani per 15 anni si è esposto per aver scritto articoli contro Mubarack, che è al potere dal 1981. E’ membro di un nuovo movimento di opposizione Kifaya, che vuol dire “ Basta!” Quindi impegno politico diretto,nel tentativo di andare verso la democrazia, ma anche un contributo indiretto attraverso la letteratura, che “ cambia il lettore e lo aiuta ad essere meno ipocrita e a combattere il fanatismo in una società in cui prevale la mediocrità e in cui il ribellarsi ha un caro prezzo”.
In questo romanzo, che potremmo definire corale per la pluralità dei personaggi le cui storie non sempre concluse si intrecciano, un personaggio in particolare Naghi, potrebbe essere considerato l’alter ego di Ala al Alswani, come lui laico impegnato politicamente in un movimento per la democrazia e per di più poeta e si sa che, come dice Ala Al Aswani, “per i poeti la comunicazione con il mondo è più complessa”.
Alcuni personaggi sono americani, ma molti sono egiziani, che si lasciano amare o detestare, che tendono a caratterizzarsi per intolleranza: sono copti,mussulmani,arabi, ebrei, bianchi e neri. La storia che coinvolge una donna molto bella, ma che per essere di colore non trova lavoro, ti fa sentire lontanissima dai tempi di Obama e piuttosto ti sembra di essere tornata in tempi di becero razzismo, che spereresti essere finito .
Tanti i temi presenti , affrontati a volte anche con umorismo sarcastico, che ricordano quelli di Palazzo Yacoubian, in particolare i diversi modi di vivere la sessualità, i sentimenti,le relazioni extraconiugali, l’aborto, tenuto conto che nel mondo arabo massime sono le implicazioni di carattere religioso, sociale, politico, mentre nel mondo occidentale ( magari non in Italia!!!) taluni aspetti resterebbero più legati alla sfera privata.
Si parla anche di antisemitismo attraverso la storia di un egiziano che si innamora di un’ebrea o si denuncia il regime egiziano, che utilizza la tortura ,per controllare i propri concittadini anche all’estero , complice il governo degli Stati uniti dopo l’11 settembre. ( v. il ritratto del torturatore Shaker che opera nell’ambasciata egiziana a Washington e che usa il sesso come strumento di tortura ).
Il romanzo si fa leggere con facilità e ti fa sembrare leggere storie che in realtà non lo sono affatto.
Interessante la contrapposizione tra due personaggi, nel momento in cui si tratta di accettare o rifiutare uno studente che per motivi politici è stato espulso dall’Università del Cairo: uno, Ra Fat, che si sente molto integrato nella società americana e ha preso le distanze dalle sue radici egiziane è contrario, mentre Mohamed Salah, che non ha mai dimenticato le sue origini, è favorevole all’ingresso. Il primo vedrà morire per overdose la figlia, vittima di un’integrazione acritica nello stile di vita americano, l’altro continuerà a morire di nostalgia per aver lasciato in Egitto l’unica donna amata.
Tra le figure femminili non manca Shayra, la donna velata, ricercatrice venuta dalla campagna egiziana, che finisce per mettere in discussione le restrizioni sessuali della sua educazione o Zeihab, la rivoluzionaria anni settanta, diventata poi funzionaria ad alto livello.
C’è chi afferma con convinzione che Al Alswani è il nuovo Mahfuz. Io, non avendo ancora affrontato la lettura di questo egiziano primo premio Nobel arabo nel 1988, non posso fare confronti di questo tipo.
E’ certo che comunque l’autore di Chicago, che ha già pubblicato in Italia un altro libro di 17 racconti, “Se non fossi egiziano,” è apprezzato nel mondo arabo oltre che in occidente, dove nel 2007 ha vinto diversi premi, tra cui anche il Grinzane Cavour
Ala Al-Aswani, Chicago, Feltrinelli, 2008, pp. 310
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