
*Juliet, naked* è il titolo originale del nuovo libro di Nick Hornby, pubblicato da Guanda, un titolo a mio parere molto molto bello, più bello della sua traduzione italiana, che per fortuna come al solito si salva grazie alla copertina di Guido Scarabottolo.
*Juliet, naked* è anche il titolo dell’ultimo album di Tucker Crowe, “cantante, compositore e chitarrista americano. Divenne figura di spicco fra la metà e la fine degli anni Settanta, dapprima come lead vocalist del gruppo The Politics of Joy e poi come solista. Influenzato sia da altri compositori nordamericani come Bob Dylan, Bruce Springsteen e Leonard Cohen sia dal chitarrista Tom Verlaine” come recita la _finta_ pagina di Wikipedia citata da Hornby. Dopo la pubblicazione del suo capolavoro *Juliet* nel 1986, “ampiamente riconosciuto dalla critica come un classico disco sulla fine di un amore paragonabile a Blood on the tracks di Dylan e Tunnel of love di Springsteen”, Tucker Crowe scompare dalla circolazione per motivi misteriosi, ricordato ormai, dopo 20 anni, solo da un piccolo ma accalorato gruppo di fans riuniti su Internet a parlare senza fine dell’ultima foto di Tucker, del significato delle sue canzoni, dei motivi della sua scomparsa.
Fino a quando Duncan, protagonista del romanzo, riceve dalla casa discografica di Crowe la versiobe acustica di *Juliet*, *Juliet, naked*, appunto. E’ linfa vitale per i crowelogisti, e in particolare per Duncan, che si scatena con grande orgoglio in recensioni.
Ma l’arrivo di Naked non è solo l’occasione per Duncan di mostrare le sue conoscenze di Crowe; diventa anche il motivo di attrito fra lui e Annie, sua compagna da 15 anni in quello che è ormai un rapporto stanco e logorato. Annie, stufa della mono-tematicità di Duncan verso Tucker Crowe, decide di recensire, in toni molto meno entusiasti, anche lei l’album. La sua recensione, con grande smacco di Duncam , riceve apprezzamenti dalla rete, ma soprattutto da Tucker Crowe in persona.
E da qui parte il tutto, di cui però non vi racconto più nulla.
Il romanzo ha un sottofondo un po’ triste, un po’ decadente, che ben si adatta a questi giorni di nebbia fitta che ci accompagnano da qualche settimana _almeno a Milano_, fra la storia di Annie e Duncan, la fine della carriera di Tucker, le sue crisi famigliari, l’ambientazione a Gooleness:
[che] era vento, mare e vecchi, era l’odore di fritto che, chissà come, rimaneva nell’aria anche quando nessuno friggeva niente, i chioschi dei gelati sprangati anche quando c’era gente per strada…
Nick Hornby torna al mondo della musica, che conosce così bene e che riesce a trasmettere con tutta la sua passione.
Come scrivevo, lo sfondo è un po’ malinconico, un po’ decadente, ma l’umorismo di Hornby riesce sempre a sollevare gli animi e strappare molte risate.
Bello, come tutti i suoi libri.
Solo qualche perplessità sul finale, lasciato un po’ troppo aperto per i miei gusti.
*giuliaduepuntozero
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